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Birranthology – La Scrofiano Psychobilly che non ti aspetti

Birranthology – La Scrofiano Psychobilly che non ti aspetti

Sono veramente pochi i festival che impongono un’estetica di base, un concept netto e inconvertibile. Il Birranthology, che arriva ormai a un decennio di vita al parco dell’Uccelliera di Scrofiano, risponde a questo tipo di impostazione. Le band sono rigorosamente riconoscibili secondo un preciso marchio critico, le forme e i simboli cui le immagini sono assecondate dall’organizzazione rispondono ad una cifra stilistica centrata. Tutta la focalizzazione sta nell’ambito dello Psychobilly, nelle estetiche degli anni ’50. Ne parlo con Luca Farini, uno dei ‘teorici’ del gruppo dell’APD Scrofiano, associazione che, oltre a portare avanti attività sportive durante tutto l’anno, si dedica anche ad attività culturali parallele. Ci beviamo l’ennesima BrewDog nei pressi della braceria di Lucifero, la cui cappa della brace porta l’incisione, addotta tramite frullino, del nome “Lucio”, abbreviativo appunto di ‘Lucifero’, che significa ‘portatore di luce’, e quindi di conoscenza e bellezza. “il più figo di tutti gli angeli, cazzo! Anche perché era il più riottoso!” mi dicono le figure che tra il fumo della brace emergono, come ombre della Commedia dantesca.11251205_1646701602216733_7321705809329526851_n

Luca Farini: Allora, la storia è questa: sono dieci anni che portiamo avanti il festival Birranthology, ma sono solo cinque anni che la manifestazione ha assunto questa forma. Il Gasp (a.k.a. Paolo Gasparri ndr) è colui il quale ha portato, nelle orecchie del gruppo organizzatore, gli ascolti del genere psychobilly. Noi tutti abbiamo sposato questa idea, affascinati dalle estetiche e dalle forme degli ambiti che questo mondo musicale ci poneva di fronte. Essendo lui, il Gasp, il sommo conoscitore musicale, si è posto come guida di scelte artistiche, di generi musicali per la selezione delle band, ecc…

La cosa figa di questo genere, lo psychobilly, è che raccoglie il meglio del punk e del rockabilly anni ‘50. Come per il punk e l’hardcore, ogni micro-genere ha la sua sottocultura, con i determinati ascoltatori e le determinate idiosincrasie: c’è questo astio gentile tra generi diversi di intendere il suono e gli stili di vita. Ti faccio un esempio: I Green Moon Sparks, band psychobilly, hanno questo pezzo che si intitola “Rockabilly stole my bike”, in cui si evince una certa avversità rispetto ai cugini rockabillies, che mantengono questo stile più classico. Lo psychobilly, invece, prende tutta la cultura punk e la fonde con la tradizione più ancestrale del r’n’r degli anni 50, creando un miscuglio moderno e sicuramente più accattivante. In passato ci siamo dedicati anche al Country, ma successivamente abbiamo deciso di dedicarci più profondamente al genere psychobilly e alle sue sfaccettature.

Comunque è Paolo Gasparri, ripeto, che ha buttato là l’idea del festival-endorser, profondamente in osmosi con la cultura psychobilly, e tutti lo abbiamo seguito con entusiasmo. Nella situazione attuale io e Paolo Gasparri pensiamo soprattutto alla grafica. Ci confrontiamo, ma di fatto cerchiamo di emulare tutta l’estetica che richiami l’ambito psychobilly, ovviamente. Tutto si rifà al vintage, in fondo. Purtroppo, il rockabilly, e la sua proiezione moderna, essendo una sottocultura degli anni 50, troppo spesso oggi viene associato a delle “carnevalate”. Cioè il sillogismo: Rockabilly=revival 50, pinup e vestiti stupidi, sembra scontato. Il fatto è che oggi c’è realmente qualcosa in più. Se ci fermassimo a quel tipo di festival, di revival, di esibizione del vintage, diventerebbe una buffonata, a nostro parere. Siamo un festival in cui la gente si veste normale, assolutamente, ma giochiamo con i teschi e le motociclette, ricordiamo attraverso i loghi e le locandine, l’Ace Cafè di Londra degli anni 60, i club motociclistici, tutto quel mondo là, per intendersi.

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Siamo grafici e non disegnatori e illustratori. Facciamo collage e ci lavoriamo sopra. Prendiamo cose che vediamo in giro e che ci piacciono, senza però scopiazzare, mettendoci sempre del nostro. Ci sono cose troppo personalizzate in certi ambiti. Ci piace giocare con elementi che stanno ai margini del filone: uno dei nostri riferimenti è Josè Guadalupe Posada, un tipografo, illustratore e incisore messicano, del primo novecento. Il nostro logo è proprio preso da uno dei suoi disegni; è il suo campesinhos a pugno chiuso. Prendiamo molto dalla cultura messicana fondendola con la grafica degli anni ’50. Da lì nascono i nostri manifesti. Giacomozzi invece (a.k.a. Giacomo Spinelli) si occupa dell’organizzazione totale, è lui il cardine generale dell’associazione; dal parlare con il service, con i volontari, organizzare di fatto i concerti e gli spettacoli di burlesque, che è un altro elemento importante del nostro concept.

A stretto contatto con l’ambiente rockabilly, ci siamo ritrovati numerosissime artiste di burlesque. Le abbiamo sempre inserite, con effetti stupefacenti. Spesso le artiste che chiamavamo conoscevano già la band con cui avrebbero dovuto condividere la scaletta ed hanno deciso, sul momento, di non usate la base ma il gruppo musicale live. Questo fa sì che la nostra scelta ricada in artisti che si omogeneizzino in un’opera d’arte totale continuativa, sul palco.

È comunque Giacomo Spinelli che d’inverno tira giù liste enormi di gruppi che andiamo a vedere live e selezioniamo. Cerchiamo sempre di pescare tra Italia e internazionalismo, ma soprattutto ricadiamo sull’estero, sempre basandoci su questi generi musicali.

Da noi certe culture non sono poi così conosciute. Tempo fa abbandonammo l’idea del surf-rock’n’roll perché le band proponevano pezzi strumentali, che poco si addicevano ad un pubblico generalista come quello che viene al nostro festival. Cerchiamo di veicolare certe esperienze artistiche, dal punto di vista culturale. Inoltre, cosa molto importante, dal punto di vista culinario, ma soprattutto birraio (ci chiamiamo Birranthology non a caso) la cultura delle birre artigianali, che nel nostro territorio inizia ad avere uno spazio molto rilevante, sta molto a cuore all’organizzazione, che cerca di espandere il più possibile la qualità di ciò che si beve. Quest’anno abbiamo 26 tipi di birre completamente diverse.

11049619_1673370399549853_7851542312074277889_nIl mercatino per noi è una parte integrante dello spettacolo. Noi non chiediamo niente ai banchi del mercatino. Non mettiamo in vendita la piazzola, non vogliamo niente in cambio dello spazio che concediamo nel parco dell’uccelliera. I banchini fanno tutto da soli ma devono essere assolutamente in tono con lo spettacolo e con il festival. Ci sono tatuatori, illustratori, o comunque artigiani che hanno a che fare con questa particolare cultura. È il continuo della scenografia del parco.

Il merchandising lo abbiamo concepito e creato tutto da soli. La grafica delle t-shirt, delle spille, delle fasce e degli adesivi ovviamente cambia ogni anno. Quest’anno alcune ragazze hanno preparato tabacchiere e portafogli in tela, con incollate le etichette delle birre artigianali che abbiamo al festival, sigillate poi in resina, tagliate e ricucite. Pienamente in tema DIY. Pienamente in tema Punk Psychobilly. Al banco del merchandising abbiamo, tra gli altri, Elena Bonaccini che espone dei flash per tatuaggi, immagini, disegni da lei stessa creati.

I volontari arrivano a quasi sessanta. Verso novembre ci facciamo venire la voglia di costruire qualcosa insieme, in inverno cerchiamo di organizzarci. Nel consiglio siamo undici membri. Arrivati al festival inglobiamo quanta più gente possibile, amici, ragazzi e ragazze del paese. Quest’anno abbiamo un prezioso aiuto da parte de La Frontiera di Bettolle, un cui congruo numero di militanti è venuta a darci una mano. Tutti ovviamente in forma gratuita. Arriviamo ad una massa critica di 60 persone che riesce a stare dietro al cibo e all’intrattenimento. Cerchiamo di coinvolgerci e coinvolgere, in piena filosofia punk rock.

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