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Il Fuoco Lento dei ROS. Un’intervista alla band

Il Fuoco Lento dei ROS. Un’intervista alla band

Dietro l’immagine edulcorata da un caschetto rosa acceso, che sovrappone nella memoria immagini composite, tra l’aspetto di una giovane Kim Gordon e l’attitudine post-punk di Alison Mosshart, Camilla nasconde un ordigno deflagrante. Prorompente nella liscitudine della sua vocalità, la personalità musicale della leader dei ROS è elasticissima: capace di corrugarsi e ruggire, come una Anouk Teeuwe con vent’anni di meno, mista ad una raro scrupolo chitarristico, virtuoso e attento come una Lita Ford con meno hairspray e meno shatush. Al suo tocco “smaltato” ma consapevole, si intesse una sezione ritmica di notevole potenza e precisione. Nella ruvidità valvolare sprigionata dagli humbucker della diavoletto di Camilla, emergono –  e si distinguono per la pulizia – Lorenzo alla batteria, che gioca con cognizione tra i raddoppi secchi dei bordi del rullante e il charleston (ne è una prova l’ottima “Fiori e Fiamme”) mentre i groove sulle basse frequenze sono gestite in maniera ritmicamente efficace da Kevin, al basso, sempre accentato in avanti, nel suo pattern cavalcante e incisivo.

I ROS esistono da un anno, ma la loro amalgama sembra risalire ad anni di esperienza di sale prove e di musica d’insieme. In un anno sono entrati a spallate nel marasma chiassoso delle band del centro Italia, inserendosi, superando selezioni e contest, nelle line up dei principali festival del territorio. Sono una band che nasce sul palco, prima che in studio, che ha avuto il coraggio – quindi – di esporsi di fronte ad un pubblico incosciente, spurio: un pubblico vergine delle loro composizioni. I brani (che proprio in questi giorni stanno uscendo sul loro canale Youtube, attraverso la resa dei videoclip, Firmati da Simone Ventura e Federico Livi) hanno quindi subito il severo banco di prova dei live, le reazioni del pubblico e delle masse sonore affastellate nei monitor di palco.

La formazione sarebbe perfetta per una band decisa sul “piedistallo” vocale della voce femminile – si pensi a Joan as a Policewoman, o Tori Amos –  invece la massa sia concettuale sia formale degli impianti compositivi è forzata sul graffio “maschio” delle canzoni, nell’esecuzione, armate dalle grida, dalle sporcature volontarie. Un power trio che si rappresenta come elementare, ma ascende tramite la complessità della scrittura. La “mascolinità” dei ROS è equilibrata ad un’opposta occhiatina da femme-fatale, specie nelle transizioni verso i falsetti, decisamente composte e frutto di uno studio vocale cognitivo da parte della cantante, nonché da tratti ondeggianti, rallentamenti negli assetti delle canzoni.

Per quanto riguarda i testi, questi si colorano di poetiche da art decò, di atmosfere oniriche, barocche, che risolvono l’integrità delle canzoni in un tono spurio, sfumato sul nero. Balli in maschera, liquori, sensualità, soffici e velati riferimenti alla trasgressione. Il messaggio sembra condurre al superamento del “cerchio di fuoco” di cashiana memoria, ci mostrano l’inefficienza dei caratteri ordinari, lo sprono all’eccedere, al non nascondersi dietro le normalizzazioni della società.  Con accenti goth, una base hard rock e ammorbidimenti blues, le premesse dei ROS sono decisamente buone. Tre musicisti poco più che ventenni, padroni degli strumenti che protuberano sotto le loro dita.

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La prima domanda è banalissima. L’acronimo R.O.S. per cosa sta?

Camilla: Domanda tanto oggettivamente semplice quanto complessa per noi, data la storia particolare che ha questo nome! Inizialmente siamo partiti proprio con l’idea di acronimo. Abbiamo scelto tre parole che rappresentassero un po’ l’idea del progetto, anche per sottolineare la composizione della formazione, che si è rivelata fortunatamente efficace e produttiva. R.O.S. stava proprio per “Revenge On Stage”: ognuno di noi ha lavorato con altre formazioni ma non ha mai trovato la giusta sintonia con i colleghi dei progetti passati, mentre adesso sembriamo aver trovato una linea di affinità perfetta, soprattutto sul palco. Questo è stato il nostro “riscatto sul palco”.

Quando con la nascita della nostra musica inedita ci siamo avvicinati all’italiano, abbiamo deciso di allontanarci dall’acronimo iniziale e “ROS” è divenuta una sorta di esclamazione che ci lega tra noi per il significato originario, e allo stesso tempo rimanda, attraverso il suo suono, al colore rosso, con il quale ci piace giocare, come si può vedere nel video musicale di “Alchermes”: un colore vivo, elegante, sensuale e energico allo stesso tempo.

Attraverso le canzoni che girano in rete, il pubblico ha già avuto modo di conoscere il groviglio di esperienze musicali che nel progetto si fonde. Se dovessimo ristabilire le “appartenenze” delle varie influenze, come si distinguerebbero tra i componenti del gruppo? Quali sono gli ascolti di ognuno e come si coniugano nella scrittura delle canzoni?

Camilla: Probabilmente hai appena centrato il punto forte dei ROS: il groviglio di esperienze, gusti e ascolti che si vanno ad intrecciare perfettamente nelle nostre composizioni. Kevin, il bassista, riguardo agli ascolti che vanno più a influenzare il modo di comporre nei ROS, cita Muse e Modestep, perfetti esempi di come la nostra volontà di inserire una leggera vena elettronica sia affidata al basso e ai riff che sentirete nelle prossime due uscite (ultimi estratti dall’EP, anche essi accompagnati da 2 rispettivi video musicali), ma anche Limp Bizkit, per l’incalzante groove delle linee di basso. Per quanto riguarda Lorenzo, il batterista, forte è l’ispirazione a band come Placebo per la musicalità delle linee ritmiche di ampio respiro e al Teatro degli Orrori per quanto concerne la fattura serrata di certe parti dei nostri brani, come nelle strofe di “Maschere”, il tutto elaborato sotto l’influenza dei suoi differenti ascolti nel periodo di produzione. Per quanto riguarda me  – Camilla –  mi sento di nominare i Royal Blood e i Rage Against The Machine per i riff aggressivi e accattivanti delle chitarre, talvolta sporchi come si sente in “Maschere”. Ma sposto i miei ascolti anche verso una dimensione più elastica: in generale il blues per quanto riguarda la voce,  o gli Arctic Monkeys di AM e soprattutto l’insormontabile Annie Lennox. Il risultato è un ibrido con radici ben affondate nel Rock, colorato da sonorità moderne, toni elettronici e intenzioni vocali tendenti al blues.

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Consigliateci un disco uscito nell’ultimo anno.

Camilla: Ci sentiamo di consigliare “Beauty Behind The Madness” di The Weekend. Di questo disco abbiamo anche riarrangiato alcuni brani, a nostro modo. È un disco innovativo e ben strutturato che si sposta tra sonorità morbide, accompagnate dalla voce fina e soave del cantante, a epiche esplosioni aiutate dai prorompenti 808, come vediamo nel ritornello di “The Hills”, a hit più radiofoniche ma sempre ben confezionate come “In The Night”. Ci sono anche importantissimi featuring, tra i quali particolarmente riuscito a nostro parere è quello con la splendida voce di Lana del Rey in “Prisoners”. Inoltre l’album rispecchia velatamente anche alcune nostre scelte stilistiche: il tempo ternario di “Earned It” con chitarra crunch appoggiata che echeggia nei pattern di “Alchermes”, il giro di basso orecchiabile e efficace portatore del brano “Can’t Feel My Face”.

Si sente, nell’esecuzione dei brani in studio – ma anche live – una conoscenza metodologica degli strumenti, uno studio alla base della padronanza delle sezioni compositive. Quali sono stati i vostri percorsi musicali? Come e dove vi siete approcciati alla musica?

Camilla: I nostri percorsi di formazione sono stati differenti, ma tutti molto validi. Lorenzo ha iniziato a suonare la batteria 8 anni fa, dopo essersi innamorato di due gruppi chiave, gli Ensiferum e gli Iron Maiden, prendendo lezioni private. Inoltre per un certo periodo ha studiato anche sassofono e pianoforte e questo gli è stato utile per approfondire e delineare il senso e il gusto sul piano musicale e ritmico. Per Kevin la vocazione per il basso è nata quasi per sbaglio, spinta dalla mancanza di un bassista in un giovane gruppo Jazz sarteanese. Da lì si è cimentato e appassionato, studiando approfonditamente lo strumento, lezioni private, ore e ore di esercizio in casa e molte esperienze con gruppi di vario genere. Io invece mi sono approcciata in giovane età alla musica per una passione a tutto tondo derivata anche dai genitori. Dopo un paio di anni di canto e chitarra classica all’Istituto di Musica di Montepulciano, il suo interesse sfocia sulla chitarra elettrica, e inizia una full immersion di lezioni ed esperienze con band. I miei studi sono stati coronati dall’entrata alla Music Academy di Siena nel 2014, che mi ha rilasciato recentemente il National Diploma, e dall’iscrizione alla facoltà DAMS dell’Università di Firenze, dove tutt’ora studio. Probabilmente sono proprio i nostri intensi percorsi di formazione e le nostre esperienze con più progetti ad averci portato alla giusta sincronia con i nostri strumenti e fra noi, vogliamo assolutamente continuare così. Non resta che citare il motto “non si smette mai di imparare”, a volte in sala prove riarrangiare alcuni brani è quasi come se fosse una piacevole lezione!

Per quanto riguarda i testi, ciò che abbiamo sentito finora è onirico, dissociato, sovradimensionale, “Fiori e fiamme”, “Maschere”, “Alchermes”, rimandano ad una dimensione decadente e parnassiana, in cui la tinta “glam” è offuscata dalla ruvidità del rock’n’roll. Agli hammer-on metallici dell’intro, veniamo subito trascinati in un contesto patinato ma dissonante, come una lacrima di mascara: al «Ballantine’s con ghiaccio» e alle «ombre in frac», si intromette il grido «aperto il sipario, tutto è lecito», che sa di slogan distruttivo, post-punk.  Cosa vogliono dirci i ROS, trasportandoci in queste atmosfere?

Camilla: Le tue considerazioni ci fanno brillare gli occhi. Queste caratteristiche combaciano perfettamente con  quello che il progetto vuole riflettere! L’obiettivo è proprio che il mood dei brani giochi in modo velato e originale con temi legati al lato più inconscio della psicologia umana, trasportando l’ascoltatore in un’atmosfera irrazionale e surreale, ma allo stesso tempo fresca, aggiornata e accattivante. “Alchermes” ci racconta il vizio in modo elegante e sensuale a ritmo di blues, “Maschere” mette in chiave moderna un tema già largamente affrontato in letteratura: l’apparire. Ed è proprio il contrasto con questa celata seconda dimensione che vogliamo portare in musica, creando un contesto sonoro in bilico tra il decadente e il raffinato, tra l’eleganza della timbrica vocale femminile e la prorompenza degli strumenti, talvolta in cerca di volute dissonanze. I ROS, con questo, vogliono concretizzare artisticamente le insidie della realtà umana, riflettendo sia i lati chiari che i lati più oscuri della mente in un tutt’uno.

Come sono avvenute le fasi di scrittura e registrazione dei vostri brani inediti?

Camilla: I ROS sono nati solo un anno e mezzo fa ma sono già partiti con le idee chiare e l’obiettivo comune di creare qualcosa di mirato, inedito e professionale. Fin da subito si è stabilita la dimensione in cui si sarebbe mossa la nostra musica ed è apparsa immediata a tutti e tre. Già dopo pochi mesi eravamo cimentati nella composizione dei brani: migliaia di registrazioni hanno popolato i nostri cellulari, in cui registravamo istantanee di idee di melodie e motivi nelle più disparate situazioni! L’embrione veniva poi portato in sala prove – e devo ammettere che il nostro bassista Kevin ha avuto una discreta parte di merito per quanto riguarda questa fase – e da lì partiva lo sviluppo e la creazione del brano. Proprio in quel momento spesso aleggiava il tema del testo, che veniva sviluppato in altra sede da me e da Lorenzo. È magnifico lavorare in trio, la partecipazione in questi casi è perfettamente bilanciata e produttiva. La registrazione di questa sorta di EP, che stiamo presentando sotto forma di quattro video musicali, è avvenuta al BSide Studio nell’autunno del 2015 e si è prolungata fino alla fine dell’anno, a causa della nostra forse esagerata meticolosità…

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Come vedete la “scena” delle band che condividono con voi i palchi della provincia? Come definite il contesto musicale del vostro territorio?

Camilla: Siamo davvero entusiasti di poter dire che a livello di progetti musicali validi la nostra provincia è molto ricca. Fra i nostri live abbiamo incontrato e fatto amicizia con molti gruppi meritevoli, come ad esempio i “Ghost Space” e i “Red Light, Skyscraper!” di Siena, con i quali ci siamo confrontati in varie occasioni come al recente ORF Music Contest. Inoltrandoci ancora di più nella nostra zona citiamo con molto piacere gli “Impatto Zero”, anche loro cimentati in musica propria con uno stile ben definito. In più ci teniamo a salutare calorosamente la Toscana Sud, valente collettivo rap della nostra zona con il quale spesso lavoriamo: i nostri video musicali appena usciti vedono la partecipazione di un loro componente, Fedok, come co-produttore e uno dei prossimi brani che vedrete presto su Youtube incontra i tricks elettronici di Reizon, produttore della TS. Per quanto riguarda gli eventi musicali, la zona ci ha dato da subito una vivace risposta, facendoci suonare sui palchi della Festa della Musica e del Rock For Life, oltre che in numerosi locali. Strano ma vero: possiamo ritenerci perlopiù soddisfatti del nostro territorio!

Per concludere, parliamo dei vostri videoclip. Come lavorate ai fini dell’interazione tra musica e immagini?

Camilla: I video sono stati un’esperienza tanto divertente quanto impegnativa! Ci siamo resi conto che in questo momento l’unico modo per fuoriuscire maggiormente e farsi sentire è proprio questo, quindi ci siamo cimentati nella creazione di questi videoclip, con Simone Ventura e Federico Livi. Diciamo che i pezzi sono stati registrati in studio già con la consapevolezza che sarebbero usciti su YouTube, quindi, inconsciamente o meno, fin da subito ognuno di noi provava a vedere quali immagini gli passavano per la testa ascoltando il brano. È stato proprio questo il principio: quando ci siamo trovati a tavolino a decidere la sceneggiatura ognuno di noi ha raccontato cosa vedeva nel brano, abbiamo buttato giù tantissime idee e le abbiamo messe in relazione con il testo e con il tipo di immagine che volevamo dare. “Maschere” e “Alchermes” sono state il risultato! Ci piace scrivere le nostre sceneggiature, perché siamo i primi a sapere cosa deve trasparire di noi dallo schermo. Inoltre aggiungiamo che la vera realizzazione di essi è stata davvero un’esperienza magnifica: giorni e giorni di full immersion fra saloni, comparse, scenografie, begli abiti, nonché musica, strumenti portati ovunque e riprese a non finire. È meraviglioso vedere il nostro lavoro concretizzarsi e avere una risposta così positiva…

https://www.youtube.com/watch?v=sCdSAZzQmZo

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