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“Dall’Inferno all’Infinito”: intervista a Monica Guerritore per un viaggio dell’anima attraverso la letteratura

“Dall’Inferno all’Infinito”: intervista a Monica Guerritore per un viaggio dell’anima attraverso la letteratura

Monica Guerritore arriva al Teatro Poliziano, venerdì 7 Febbraio, per portarci nelle profondità dell’animo umano in un viaggio Dall’Inferno all’Infinito. Un percorso dell’anima ma anche della letteratura: Dante, Pasolini, Morante, Valduga, Hugo, Pavese, Leopardi sono tutti sul palco con lei.
Come ci sono arrivati?
È il 2004 e siamo a Verona. Monica Guerritore studia la Divina Commedia per una lettura al Teatro Romano e le appare chiaramente quello che c’è dietro al viaggio di Dante: un tessuto psicanalitico dell’inconscio.
Tornata a casa legge Anima di James Hillman, psicanalista archetipico, e la sua intuizione viene confermata. L’attrice e autrice decide allora di raccontare al pubblico quello che ogni Canto ci porta dal punto di vista dell’inconscio.
Com’è, però, che sul percorso dantesco si sono innestati tutti gli altri brani? L’abbiamo chiesto alla stessa Guerritore.

Come sono stati selezionati i testi legati a Dante? C’è stata una ricerca razionale e pensata oppure è stata una scelta dettata da ispirazioni del momento?
“È stata un’associazione non logica, ma un’associazione libera come si fa in psicanalisi.
Ho preso con molta semplicità il primo verso del primo Canto e ho cominciato a pensare a una discesa: ho immaginato la notte in cui Dante comincia a scrivere, ho immaginato la sua età. E ho seguito questo viaggio, questo precipitare dentro l’animo che si riempie di suggestioni, di immagini a cui Dante dà dei nomi per renderle comprensibili, ma sotto nascondono sempre degli archetipi.
Hillman racconta quello che c’è sotto le cose. E ogni racconto, ogni canto, ogni opera ha sotto un mito che lo sostiene, il resto è scenografia. Quello che c’è sotto si lega anche se ciò che sta sopra non appartiene alla stessa epoca, se la musica non è la stessa. Quindi ci sono delle associazioni che nascono dai miti sottostanti, dai temi portanti e dagli archetipi.
A Dante si parano davanti tre fiere? Le fiere equivalgono, in psicanalisi, ai predatori della psiche. Ad aiutarlo arriva Virgilio, che è il super io; Virgilio poi lascia il posto a Beatrice che è la prima luce e da lei mi è naturalmente venuta in mente Francesca, l’amore carnale.
Dal Conte Ugolino che divora i corpi dei figli – uno dei temi portanti della psicanalisi, quello del padre che divora i figli – mi è venuto spontaneo pensare alla madre di Pasolini, che per troppo amore lo divora, e poi ho pensato alla madre della Morante e da lei sono passata alla Valduga… e si va così, potrei continuare, perché ogni volta che lo faccio mi viene in mente altro.
Non c’è un collegamento razionale, non è una scrittura lineare: procede per suggestioni, per sensazioni.
È molto complesso da spiegare, ma molto semplice da vedere.”

Ha raccontato e scritto che, come altri suoi spettacoli, questo viaggio Dall’Inferno all’Infinito è nato per essere modificato e rimpastato. Come è cambiato dalla sua nascita?
“Lo spettacolo è finito, perché è quello che doveva essere. L’idea è quella che avevo immaginato: precipitare dentro invece che fuori, perché è dentro che trovi l’infinito, nella solitudine. Il viaggio verso Dio, verso la bellezza, quel “uscimmo a riveder le stelle” è un viaggio che si fa solo entrando dentro di sé. La ricerca di noi stessi è quello che facciamo quando andiamo in compagnia dei poeti e questo è proprio lo spettacolo come l’avevo immaginato.
Poi le tessere che lo compongono a volte si spostano, a volte si amplificano e altre si riducono perché è materia dinamica.”


Come e quanto la poesia e la letteratura ci possono aiutare nell’affrontare le nostre ombre, nel vivere con l’inconscio?
“Intanto ci aiutano a prenderne atto, a prendere coscienza che esiste. E per fortuna esiste, questa visione che va al di là dei cinque sensi, che rende il viaggio non bello, ma ricco. Il popolo interiore che sono le nostre ombre è comunque in movimento ed è importante ascoltarlo, perché altrimenti diventa una materia indistinta caotica e noi finiamo preda di movimenti che non capiamo, non gestiamo e non sappiamo da dove vengano.
Attraverso la letteratura o qualsiasi opera letteraria o visiva troviamo compagni, rappresentazioni simboliche, perché danno corpo a quelle ombre.”

Queste parole che lei porta in scena vengono tolte dalla loro collocazione storica. Questo le rende attuali, ma non le lega a questo momento. Le rende invece atemporali, vicine a tutti i tempi e a nessuno. Perché secondo lei accade questo?
“Intanto perché le togliamo dalla metrica: ce le hanno insegnate in un certo modo, con la metrica, con il tempo, con il ritmo. Se invece le ascoltiamo così come sono, come un racconto, fanno veramente impressione.
Le ascolti come se fossero nuove, le riscopri e poi le metti in tutte le caselle in cui ognuno del pubblico vuole metterle: diventano tue, sei tu che fai un’esperienza personale.
Il Conte Ugolino, la “Supplica a mia madre”, il brano di Madame Bovary… sono tutte cose che riscopri perché vengono allontanate dal modo consueto cui siamo abituati, in cui il suono diventa più importante della scrittura.
Io invece cerco di ridare ogni brano alla scrittura così com’è. Non devo essere brava, dobbiamo rileggere insieme queste meraviglia assolute.”

Che rapporto ha e ha avuto con gli artisti che ha portato sul palco?
“La Morante è quella che negli ultimi anni mi ha più indicato una strada che è molto simile al mio modo di creare. Nell’incipit del Menzogna e Sortilegio le arrivano, di notte, questi personaggi che vogliono essere raccontati e diventano sempre più reali, come i Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello.
Per me accade in modo simile: il personaggio arriva e poi in un lavoro alchemico piano piano prende forma e corpo e poi si scrive, come ho fatto con Giovanna d’Arco o nel mio ultimo libro Quel che so di lei.
È un modo abbastanza visionario, questo mio modo di creare spettacoli e scrivere, ed è la Morante che mi ha raccontato come accade.
Mentre Dante sicuramente è quello che più mi ha trascinato in questo viaggio alla scoperta di sé. Io da quando lo studio ho sempre visto questa immersione nel profondo. Lui addirittura parla dell’animo in terza persona, lo vede, lo materializza nella sua immaginazione, non è più lui. “Vidi io l’animo mio…”: è incredibile.
Dante mi ha accompagnato nella profondità di un viaggio all’interno di sé.”

Questo viaggio nelle profondità dell’anima per uscire “a riveder le stelle” e raggiungere l’Infinito vi aspetta venerdì 7 febbraio al Teatro Poliziano, alle 21.15.

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