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EYE2025: uno sguardo (da) dentro l’evento europeo dei giovani

EYE2025: uno sguardo (da) dentro l’evento europeo dei giovani

Il 12 giugno sono partita, insieme a un gruppo di ragazzi e ragazze della Valdichiana Senese, per Strasburgo per prendere parte all’European Youth Event 2025, il tutto grazie alla Nuova Accademia degli Arrischianti di Sarteano.
Un’esperienza che non avevo mai vissuto, costellata da momenti di forte presa di coscienza, di scambi fra persone facenti parte della stessa generazione ma di diverse culture e, sorprendentemente, di grande spensieratezza.

In quei cinque giorni ho potuto toccare con mano la speranza e la volontà di migliaia di giovani che credono in un cambiamento sociale in positivo e che si adoperano ogni giorno per realizzarlo. Ma oltre a quello che ho potuto comprendere guardando fuori da me, importante è stato ciò che ho potuto imparare guardando dentro il gruppo con cui avevo affrontato la partenza e con cui stavo affrontando il viaggio.

Le parole, gli scambi, l’osservazione, la collaborazione, le risate, sono andate ad assottigliare la sensazione di angoscia e di incapacità di riconoscimento che spesso, per non dire sempre, permea questo mio periodo di vita. Comprendere che in un luogo così piccolo e così lontano da tutto ci siano persone che si alzano con la mia stessa voglia di creare legami, di creare ponti, di urlare e di lottare contro chi distrugge e priva ogni essere vivente di libertà, e che lo fanno attraverso la cultura, non elitaria, non oligarchica, ha significato potere respirare e lasciare, per un po’, la sensazione di frustrazione che sono abituata a sentire dormire sul mio stomaco.

Come già detto con alcuni di loro, nei giorni seguenti al viaggio, ho potuto comprendere che è vero che faccio parte di una bolla, ma che forse, come quando sei piccola e fai le bolle di sapone, più che puntare a farne una enorme, dovremmo provare a mettere insieme tutte quelle piccole, per farne una strana, di forma indefinita, ma che piano piano possa provare a crescere sempre di più, senza limiti, senza paura.

L’intervista

Visto tutto questo, mi sono sentita in dovere di dare voce e di dare spazio, seppur nel mio piccolo, a chi ha gestito i due progetti che abbiamo portato all’EYE. Ho così parlato con Martina Amadori, Francesco Pipparelli (volto anche di questa redazione) e Vittoria Tramonti. Martina e Vittoria, insieme ad Emma del Grasso, hanno gestito il laboratorio del The Giufà Project (di cui parleremo presto ma per ora potete scoprire cosa è qui). Francesco è stato invece il protagonista dello spettacolo “Dialogue with the Enemy in the Earth of Europe”, una performance intensa e toccante ispirata alle “Lettere a un amico tedesco” di Albert Camus, con Pietro Carloncelli alla regia, sul riadattamento teatrale di Laura Fatini. Lo spettacolo, accompagnato dalla musica dal vivo dei ragazzi dell’Istituto di Musica H. W. Henze di Montepulciano, si è concluso (in entrambe le performance) con un dialogo aperto con il pubblico europeo.

Queste le loro risposte:

È stato difficile gestire le attività in un contesto così ampio e internazionale?

Martina:
Mi aspettavo più difficoltà, soprattutto perché non era stato il pubblico ad averci richiesto il progetto a differenza di altre situazioni passate; qui ci siamo trovati davanti a persone che spesso era solo di passaggio, magari incuriosite, ma non sempre interessate. Temevo che non ci sarebbe stato coinvolgimento, ma in realtà l’attività ha ricevuto ottimi riscontri.
Le vere difficoltà sono state frutto, a mio parere, della logistica: il caldo, il rumore, le tende aperte, le persone che entravano e uscivano. Il lavoro più grande è stato mantenere l’attenzione e il ritmo del laboratorio. Ma nel complesso è andata meglio di quanto pensassi.

Vittoria:
Non è stata la mia prima esperienza internazionale, ma è stata la prima volta in cui avevo un ruolo centrale e la responsabilità diretta del laboratorio. Sarò sincera, l’ho sentita tutta, soprattutto perché si è trattato, a volte, di gestire anche 60 persone contemporaneamente che appartengono a culture e lingue diverse. La cosa per me più difficile è stata la creazione di un rapporto di fiducia, a differenza dei bambini i ragazzi e le ragazze con cui abbiamo interagito non vedevano in noi delle figure su cui fare riferimento ma dei pari, era quindi complesso, tra le difficoltà della lingua e dell’inesperienza, riuscire a gestire e comunicare con tutti.

Francesco:
Per me non è stato troppo difficile, credo che pur essendo una piccola realtà siamo ben rodati nel settore internazionale; abituati al lavoro nei balcani o in giro con l’Europa in contesti meno controllati, questa fantastica macchina dove tutto girava alla perfezione e ogni spazio era super controllato e pieno di tecnici ed assistenti mi ha fatto sentire assolutamente in piena tranquillità!
Più inaspettato – in positivo – è stato il dover gestire l’emozione di avere così tanti partecipanti ad una attività e di vederli così proattivi e partecipi.

Cosa vi è piaciuto dell’EYE?

Martina:
La libertà. L’idea che si potesse entrare e uscire dalle attività a piacimento, vagare per il Parlamento e per l’EYE village, poteva risultare a tratti dispersivo, ma per me è stata soprattutto una nota positiva. Per me significava che chi restava era davvero interessato. Si è creato un flusso continuo, stimolante, anche se a volte ho perso l’occasione di partecipare a cose che mi interessavano perché non riuscivo in tempo a capire dove fossero o perché magari ero impegnata a gestire le nostre attività. Però ecco, per me il fattore della libertà è stata una moneta con due facce: una positiva perché permetteva a tutti di gestire la propria giornata in autonomia, conoscendo persone in giro per le aree, negativa perché non dando degli schemi fissi rischiava di non creare abbastanza partecipazione e interesse verso le attività.

Vittoria:
L’energia che circolava. Tutti sembravano davvero credere nel motivo per cui erano lì. Non era una semplice gita, ma un’occasione per fare, per partecipare con convinzione.

Francesco:
Mi è piaciuta moltissimo l’aria che si respirava, l’ambiente di curiosità e apertura verso l’altro, insomma, l’approccio che ho visto in quasi tutte le persone lì.

Cosa vi è piaciuto di meno?

Martina:
Per me mancava uno spazio di senso critico. Tutti e tutto era molto entusiasta, molto pro-Europa, ma raramente si rifletteva su cosa non funzionasse, molte attività erano celebrative o fine a se stesse. Mancava un momento per chiedere: cosa possiamo migliorare? Cosa cambieremmo? Con alcuni partecipanti ci sono stati momenti di attrito, di disturbo, ma poi mancavano spazi strutturati per il confronto costruttivo. Devo però anche dire che purtroppo non sono riuscita a partecipare ad alcune attività fatte all’interno del Parlamento che forse, avevano proprio quello scopo. Però ecco, se non ho partecipato non è stato per disinteresse ma più per mancanza di possibilità

Vittoria:
Dal punto di vista organizzativo è stato tutto impeccabile: accoglienza, orientamento, flusso di informazioni. Ma proprio per questo, secondo me, si rischia di dimenticare il senso profondo dell’EYE e dell’esperienza: perché sei lì, cosa stai portando. Sembrava a tratti più un festival che un momento di scambio reale. Spesso ho avuto momenti un po’ di sconforto in cui mi sono chiesta: qual è il cambiamento concreto che stiamo generando?

Francesco:
A parte il caldo e alcuni problemi logistici con i passaggi tra le aree, tutto è stato molto ben gestito. Ovviamente quelle di cui mi lamento sono questioni tecniche, che il Parlamento Europeo ha già detto di avere accolto per miglioramenti futuri.

Com’è stato confrontarsi con giovani provenienti da tutta Europa?

Martina:
Parlare di confronto è un po’ complicato, come dicevo prima ci sono stati pochi momenti in cui è stato possibile farlo, soprattutto per noi organizzatori. Mi ha fatto piacere che il momento dedicato all’espressione e al confronto previsto per il “Colloquio con il nemico nel cuore d’Europa” sia stato molto partecipato, sarebbe stato bello avere dieci minuti finali, ma interni al laboratorio, solo per ascoltare suggerimenti o impressioni anche con Giufà.  Alcuni lo hanno fatto spontaneamente.

Però devo dire che è stato stimolante anche parlare durante i momenti informali, come l’aperitivo iniziale a cui ho avuto la fortuna di partecipare insieme a Francesco. Sono questi i momenti che ti danno energia e che ti fanno capire che è vero, magari sei in una piccola bolla, ma che ce ne sono molte altre come te e che incontrandosi si può dare vita a qualcosa di vero, reale e soprattutto concreto e necessario. E quando torni alla tua realtà ti rendi conto che quello scambio, quella stretta di mano in realtà ha fatto la differenza più di quanto potessi immaginare. 

Vittoria:
Sarò sincera, mi aspettavo più confronto diretto, a volte mi sembrava che fossimo tutti lì ad ascoltare quello che voleva dire l’altro ma senza veramente essere interessanti a capirne il perché. In realtà, se non uscivi volontariamente dal tuo gruppo, era difficile incrociare qualcuno. Manca uno spazio pensato apposta per questo. Parlare con coetanei di altri Paesi ,come faresti con un tuo amico al bar, delle difficoltà che affrontiamo tutti, a partire dalla sostenibilità fino al senso di rappresentanza politica, sarebbe stato fondamentale. 

Francesco:
È stato come respirare aria nuova. Ti fa sentire parte di una rete viva, anche se disseminata. Ti ricorda che le piccole realtà, come la nostra, sono quelle bolle che rendono tutto più vivo e vivace.

Come avete incontrato Giufà?

Martina:
Il mio primo incontro con Giufà è stato da bambina, nei laboratori teatrali degli Arrischianti. Da lì sono entrata nei percorsi di spettacolo, poi nei laboratori, affiancando Laura Fatini. Col tempo sono diventata formatrice. Giufà è un progetto generativo: si nutre di nuovi sguardi e nuovi strumenti. È flessibile, aperto, ma con radici salde. Mi sono formata sul campo e con letture specifiche, cercando di imparare sempre di più.

Vittoria:
Ho incontrato Giufà nel 2018, suonando in uno spettacolo. Nel 2024 ho iniziato a formarmi come formatrice, prima in Finlandia, poi in Sicilia. Anche se studio Lettere, sento forte l’impegno verso la mia comunità. Con altri abbiamo deciso di riportare i laboratori teatrali ai bambini di Sarteano, come li avevamo avuti noi da piccoli. 

Come hai incontrato Giufà e come sei arrivato a portare “Colloquio con il nemico nel cuore d’Europa”?

Francesco:
Con Giufà io ho iniziato nel 2017, quando grazie al progetto Europeo con capofila inglese TCFT (The Complete Freedom of Truth) siamo entrati in questa dinamica europea. Laura Fatini, già regista e drammaturga al teatro di Sarteano, propose di avere questa figura a guidare il viaggio di una performance teatrale che facemmo. L’anno dopo, nel 2018, andai in inghilterra per aiutare a costruire il primo nucleo di quella che sarebbe in seguito diventata la “Metodologia Giufà” che oggi portiamo in giro ed insegnamo a formatori in tutta Europa.

Il colloquio nasce invece grazie alla vittoria dello Charlemagne Youth Prize proprio del The Giufà Project, che ci ha consentito di fare rete con gli altri vincitori per lanciare una campagna di promozione della democrazia in vista delle elezioni europee 2024.

Quanto vi ha cambiato fare parte della Nuova Accademia degli Arrischianti e incontrare Giufà?

Martina:
Mi ha cambiato completamente. È diventato parte della mia formazione universitaria, delle mie scelte, del mio lavoro. Mi ha responsabilizzata, mi ha fatto uscire dalla timidezza, mi ha dato fiducia. Ho imparato osservando, facendo, studiando. Mi ha aperto a nuove opportunità e a un modo diverso di concepire l’impegno culturale e sociale.

Vittoria:
Mi ha insegnato il valore della comunità. Gli spettacoli, i laboratori, il lavoro condiviso: tutto questo ha influito sul mio modo di pensare e di vivere. Giufà è stato il punto di contatto tra la mia crescita personale e il progetto collettivo degli Arrischianti.

Francesco:
Il nostro teatro non cerca la perfezione estetica, ma il senso. È una fucina di pensiero. Ti fa domande, ti spinge a capire, ti invita alla complessità. Giufà ha cambiato il mio modo di fare teatro, e anche il mio modo di guardare il mondo.

Quali valori legano Giufà all’idea di Europa e quali valori l’Europa dovrebbe apprendere da Giufà?

Martina:
Comunità e mobilità umana. Giufà è un personaggio ponte tra culture, lingue, territori. Rappresenta coesione, ma anche movimento. Va oltre i confini dell’Unione Europea: parla del mondo. È radicato nel Mediterraneo, ma ha infinite possibilità di interpretazione, adattamento, trasformazione. È un personaggio che smuove domande su cosa significhi vivere insieme, attraversare confini, incontrare l’altro. E forse è proprio per questo che Giufà è stato scelto per l’EYE: perché non rappresenta solo valori positivi, ma porta con sé anche una carica critica e trasformativa.

Vittoria:
Per me il valore centrale è la possibilità di raccontare. Credo che per creare dei legami sia fondamentale raccontarsi storie, raccontarsi le proprie difficoltà. In qualche modo le storie di Giufà si sono tramandate perché le persone se le sono raccontate, hanno condiviso. E per creare un’Europa unita, così come un mondo unito, c’è bisogno prima di tutto di parlare con altre persone, di condividere.

Francesco:
Integrazione, dialogo, partecipazione. Ognuno ha una storia, e nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di scriverla al posto degli altri. L’Europa dovrebbe garantire questo spazio.

Una parola o espressione per descrivere gli Arrischianti?

Martina:
“Per più ricca tornar sfida i perigli”. Ci arrischiamo, cresciamo, arricchiamo noi stessi e la comunità.

Vittoria:
Impegno. Non in senso di fatica, ma in senso di investimento, di coesione sociale, di volontà di non rimanere chiusi nella propria vita, di non lasciare che il teatro e la comunità si spengano.

Francesco:
Comunità.

E una parola per descrivere l’EYE?

Martina:
Fatica e speranza. Fatica reale, ma speranza nel vedere che non siamo soli.

Vittoria:
Possibilità

Francesco:
Connessioni.

Un momento che vi porterete nel cuore?

Martina:
La mattina dopo la replica dello spettacolo. Emozionarmi guardando recitare Francesco, sentendo suonare i ragazzi, ascoltare il confronto, percepire che eravamo lì insieme per qualcosa di vero, di condiviso ma anche la soddisfazione di dire “ce l’abbiamo fatta, siamo qui e stiamo facendo qualcosa di bello”.

Vittoria:
L’ultima sera, la domenica. Passare un momento tutti insieme, senza pensieri, capendo cosa effettivamente siamo riusciti a fare, mentre mi dicevo “queste persone con cui sono sono persone a cui voglio bene, con cui condivido qualcosa di vero”. 

Francesco:
Quando ho alzato lo sguardo dal leggio durante lo spettacolo e ho sentito che stavo facendo qualcosa di bello, che aveva senso.

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