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Bruscello poliziano – Condivisione e comunità

Bruscello poliziano – Condivisione e comunità

Il Bruscello poliziano “anche nel 2020 s’ha da fare”. Lo scrive nel libretto Chiara Protasi, autrice della prosa. Lo stesso ci avevano detto il Direttore Artistico, il Direttore Musicale e l’altra librettista, Irene Tofanini. Con le loro parole vi abbiamo raccontato il viaggio che il Bruscello ha dovuto fare per arrivare anche quest’anno in Piazza Grande.

Una volta giunto, non poteva che avere una veste diversa dal solito. In una cornice che ricorda il Decamerone di Boccaccio, i protagonisti si ritrovano per raccontarsi delle storie, quelle dei Bruscelli passati: 80 anni di storia da ripercorrere sulle note delle romanze più importanti.

Non una storia nuova quindi, né musiche inedite, ma una rievocazione delle memorie più significative per i bruscellanti e per il pubblico.
Bruscellanti e pubblico: i due attori dello spettacolo. Come abbiamo avuto modo di dire più volte, il Bruscello poliziano è importante innanzitutto per la sua dimensione sociale e di comunità. E proprio questo è l’aspetto più felice di questa edizione peculiare.

Da profano, non conoscevo nessuna delle romanze che sono state proposte. Lo stesso non si può dire per le persone che avevo intorno e di cui potevo sentire i commenti. Una spettatrice alle mie spalle ha applaudito entusiasta al solo sentir nominare Tristano e Isotta: sapeva già qual era la romanza che avrebbe ascoltato, condivideva con i bruscellanti un pezzo di storia e di memoria. Come questo, tanti sono stati gli apprezzamenti preventivi che ho sentito nel corso dello spettacolo.

Il momento più vero di tutta la serata (ero presente alla seconda) è stato all’annuncio di una romanza di cui non ricordo la provenienza. Mi sarei voluto segnare tutto, ma non potevo distrarmi da quello che stava succedendo tra palco e platea: quando è avanzato il solista, gli spettatori intorno a me hanno ridacchiato – non di lui, ma con lui, con complicità.
“Vediamo se se la ricorda” ha detto qualcuno.
Poi tutta la platea è scoppiata in un applauso.
Il Direttore Musicale si è girato verso la platea e ha detto: “Fateglielo ora l’applauso, perché dopo…”

Una memoria condivisa veniva rievocata. Non c’era bisogno di esplicitarne i dettagli, perché li sapevano tutti. Sembrava di guardare due amici immersi nei ricordi. Poi l’esecuzione è andata bene e la platea ha applaudito ancora più forte, ma non è quello l’importante. La cosa più tangibile, per me che osservavo da “terzo incomodo”, è stata la forza del rapporto tra il Bruscello poliziano e il suo pubblico.

Ecco, credo che questo rapporto sia stato schermato dalla cornice teatrale che si è voluto dare a questa rassegna di brani. Priva di conflitto drammaturgico, non era nemmeno una storia: era solo un pretesto per contestualizzare i brani, ma non serviva. Non c’era bisogno di fingere che i protagonisti fossero da un’altra parte, dove il pubblico non c’era. La presenza stessa del Bruscello in Piazza Grande era una cornice sufficiente: il pubblico si era radunato per sentire quei racconti e quelle musiche, i bruscellanti erano lì per rievocarli.

Includere gli spettatori nello spettacolo stesso, in un dialogo diretto, avrebbe reso giustizia a quelle memorie condivise e alla dimensione di comunità del Bruscello poliziano. Quindi perché non demolire completamente la quarta parete? Tanto più che i bruscellanti stessi faticavano a non interagire con gli spettatori.

Farlo avrebbe reso la serata più un concerto che uno spettacolo. Chiara Protasi, nel libretto, afferma esplicitamente che hanno scartato l’idea di un presentatore per legare le romanze perché il Bruscello non è un concerto.
Il libretto io l’ho letto dopo aver visto lo spettacolo. Stavo proprio pensando che in forma di dialogo con il pubblico mi sarebbe piaciuto di più quando ho letto quelle parole. Mi ha fatto sorridere che anche in differita ci sia stato un dialogo tra bruscellanti (Chiara Protasi) e spettatori (io).

Rimango della mia idea, sono convinto che la schiettezza di un dialogo-concerto avrebbe reso più giustizia alla dimensione condivisa e sociale del Bruscello poliziano. Con i bruscellanti stessi a fare da presentatori, a rievocare non solo le musiche ma anche i ricordi. Però sono felice di aver trovato un’obiezione non cercata e sono felice di questa ulteriore sfaccettatura di dialogo, che mi sembra arricchisca ancora quella condivisione che è la forza del Bruscello poliziano.

Ad altri 80 anni (e oltre) di storia condivisa.

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