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Inchiostro sulla pelle – Secondo capitolo

Inchiostro sulla pelle – Secondo capitolo

Dopo l’esordio di giovedì scorso, eccoci al secondo appuntamento con il romanzo breve Inchiostro sulla pelle, a cura della misteriosa Piuma Bianca, in esclusiva estiva per i lettori de La Valdichiana! Buona lettura!

Pomeriggio, solitario.(5)
Mentre finiva di fumare la sua sigaretta ripensava alle coincidenze, ai destini che si incrociano, alle persone che ancora non aveva conosciuto.
Aveva nella sua mente immagini velate di volti sconosciuti, erano tutti coperti da maschere, da veli neri per celare la loro essenza.
Non sapeva riconoscere nessuno… o meglio, non c’era nessuno.
Così coperti non erano esseri umani, erano figuranti di una recita scadente, falsi prototipi di figure evanescenti.
Aveva sempre puntato nella sua vita all’originalità, al particolare dettaglio che fa sì che nessuno sia clone di nessun altro.
Aveva puntato alla scoperta di sguardi nuovi, alla bellezza di due punti di vista differenti che si incontrano a metà strada.
Ma nella sua testa comparivano solo gocce della stessa pioggia, riflessi dello stesso specchio.
Pensava che fosse difficile lasciarsi vedere per quello che si è… lasciarsi spogliare dalle insicurezze e ritrovarsi nudi senza scudi.
Troppe volte aveva concesso a sconosciuti con il velo nero di guardarla… ed era sempre la stessa storia, lei nuda tra la curva delle sue spalle e loro intrappolati in una maschera che non avrebbero abbandonato.

Mercoledì’, in piazza(6)
In quel momento capì che la semplicità stava nelle sfumature, nel dettaglio dei gesti.
Seduta guardava le persone che la circondavano, sembravano felici.
C’era chi rideva, chi si improvvisava in pose poco probabili per immortalare quel momento, chi stava seduto fermo proprio come lei, chi si guardava da lontano cercando nell’altro la forza del primo passo, chi si limitava a sfiorarsi.
La sua mente non era con lei in quella piazza, era altrove, lontano, dove lo spazio non esiste, dove si percepisce il rumore assordante del silenzio.
Dove il vento piano le scompigliava i pensieri.
Non sapeva bene a cosa pensasse, o a chi, ma era affogata nelle sue idee, nel suo respiro e le piaceva così.
Intorno a lei c’era molta gente, che poco alla volta lasciava andare lo sguardo per cercare qualcosa, una luce, un paio di occhi, ma lei si sentiva intoccabile, persa nella sua aurea.
In quella piazza sentiva una forza, un’energia forte che la comprendeva senza toccarla, che le confondeva le piccole certezze che già sentiva essere crollate sotto i piedi, come quando sei in acqua e cerchi di stare a galla perché non senti il terreno sotto di te.
Pensava che tutto quello in cui aveva creduto, tutto quello che aveva intravisto era stato solo un abbaglio, una scossa placata, ma in fondo le andava bene così.
Non avrebbe smesso di credere nella scintilla di due sguardi che si uniscono, che anche da lontano si comprendono.

17:30 (7)
8-04
Era sospesa in un equilibrio instabile, sapeva quello che sarebbe successo, ma forse non aveva il coraggio di ammetterlo a sé stessa.
Lui era lontano, annegato nelle sue idee confuse.
Lei era persa nel suo profumo.
C’era una distanza tagliente, come quando ti fermi immobile di fronte alla finestra mentre fuori piove e aspetti che qualche goccia batta forte su quel vetro per farti ritornare alle realtà, per farti staccare da quell’incantesimo fittizio.
Non le rimaneva altro che aspettare quella goccia.
Quel grido silenzioso che le avrebbe fatto sbattere le palpebre.
Gli occhi erano bloccati, come intrappolati in una lastra di ghiaccio e davanti le passavano solo le immagini di quei fuggiaschi momenti passati insieme, il suo strano carattere, quei silenzi pieni e la disarmante complicità di due sguardi che appena si sfiorano.
Credeva nell esistenza di anime simili, e temeva di averla trovata.
Credeva di aver rintracciato quel particolare luccichio di sue pesone che si salutano da lontano.
Pensava che si fosse circondata di incomprensioni, di dettagli, di battiti piccoli.
Aveva percepito la scossa di due corpi che si avvicinano, che piano si studiano, come quando ti blocchi davanti ad un bel quadro e lo fissi, perdendoti nei colori, nelle sfumature impercettibili che pochi coglieranno, nello guardo lucido di un dettaglio marcato, nell’inconsistenza di un pensiero passeggero che ti accarezza la mente, nel sorriso spontaneo di un piacere lieve.
Aveva provato l’inafferrabile dolcezza di due mani che si legano mentre la città si spiega ai tuoi occhi, mentre il riflesso di una pozzanghera immortala quel passo.
Adesso si immergeva nel vuoto, nel suo vuoto e avrebbe voluto gridare forte per riuscire a farsi sentire da lui.
Si sentiva dilaniata.
Precipitava in pensieri neri e non si spiegava il perché.
L’inconsistenza le bucava la pelle e le faceva chiudere gli occhi, ma forse era meglio così, a volte si vede meglio ad occhi chiusi.
Percepiva le sue braccia, fino a quel momento aperte ad accogliere una bella risata come serrate.
Doveva dire addio, ma non era mai stata brava.
Forse erano stati solo frutto di un inganno effimero, una dolce pugnalata,
un nero ricordo indelebile.

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