Close
Close

Nessun prodotto nel carrello.

Valdichiana Arcobaleno – Intervista a Luca Gremita

Valdichiana Arcobaleno – Intervista a Luca Gremita

È una giornata di sole quando incontro Luca Gremita, verrebbe da dire una bella giornata in cui discutere di accettazione. Eppure mentre cerchiamo un posto dove parlare continuiamo a guardarci intorno, tra ombre e rumori. Scivoliamo tra le macchine, lasciamo indietro le persone e ci inoltriamo in un parco vuoto. Le prime panchine che incontriamo sono troppo vicine al mondo che non vogliamo ci ascolti, quindi procediamo ancora tra gli alberi: speriamo ci tengano al sicuro. Quando raggiungiamo il punto più lontano dalla strada controlliamo che non ci sia nessuno e ci sediamo.

Iniziamo a parlare, ma l’attenzione è divisa tra ciò che diciamo e l’istinto di controllare i dintorni: gli accessi al giardino, i palazzi che spuntano oltre gli alberi, i suoni della strada. Ogni volta che nel parco entra una persona ci fermiamo a controllare. Quando si allontana o vediamo che non ci sente riprendiamo il respiro e il filo del discorso.
Le parole fluiscono, anche se c’è sempre una tensione verso ciò che ci sta intorno.

Luca Gremita è la prima persona che intervistiamo per Valdichiana Arcobaleno, progetto che abbiamo introdotto qualche settimana fa. Luca fa il commesso, ha una grande passione per il trucco, gli piace cantare e ha un discreto seguito sui social. Ovviamente non è tutto qui. «Sono molto timido» mi racconta, «ma molto amichevole. Sembro distaccato e freddo, ma sono l’opposto, mi affeziono in tempo zero. Sono molto diretto, forse troppo e l’ho capito a mie spese. Sono come un labrador» ride. «Sono dolce, affidabile. Piuttosto che farti un torto mi ammazzo. Però nel momento in cui vengo ferito reagisco molto male. Magari sbaglio, ma non penso di meritarmelo. Nessuno se lo meriterebbe, anche se a volte capita involontariamente.»

Valdichiana Arcobaleno è un progetto per incontrare e raccontare persone lgbtqia+ della Valdichiana. Quindi la prima domanda non può che essere come si definisce Luca Gremita, se si definisce.

“Io mi definisco gay. Non ho mai escluso altro per il futuro, anche perché per come la vedo io è un gusto, quindi se oggi mi piace il giallo, tra un mese magari mi piace sempre ma mi piace meno, preferisco qualcos’altro. Però a oggi mi definisco gay e sono tranquillo così.

In passato non l’ho vissuta per niente bene, la cosa. La famiglia da parte di mio padre è molto religiosa, ero terrorizzato, poi il fratello più grande, un gruppo di amici cretini… non l’ho presa per niente bene. Poi quasi tutti i miei amici mi hanno abbandonato. Però con il tempo ho iniziato a capire che il problema non ero io. Le persone che non mi conoscono e mi giudicano lo fanno solo perché sanno che mi piacciono i ragazzi, però non sanno che persona sono.

Adesso non ho nessun tipo di problema col mio essere, la mia omosessualità. Mi vesto anche come voglio.”

La bandiera dell'orgoglio gay maschile, con sette strisce orizzontali in varie sfumature di azzurro.
La bandiera dell’orgoglio gay (maschile)

Com’è stato crescere in questa zona? Tu sei di Chiusi e fino a un certo punto immagino la tua vita sia stata tra il tuo paese e i dintorni.

“Fino alle medie tutto tranquillo. I problemi sono arrivati alle superiori. Ho iniziato a Montepulciano, poi per svariati episodi non proprio carini ho dovuto cambiare. Mi sono spostato a Chiusi, nella speranza che fosse meglio, ma non è stato così. Gli anni a scuola… male.

Io mi sono dichiarato solo dopo. Volevo passare quegli anni in tranquillità, essere visto il meno possibile. Le persone però se ne accorgevano, anche se si basavano su degli stereotipi. In classe sono stato abbastanza tranquillo, il problema erano i ragazzi più grandi e quelli delle altre scuole. Due giorni dopo la fine delle superiori ho fatto coming out con tre mie compagne di classe e poi sono sparito per anni.

Crescendo qui una cosa che ho sentito tanto è la solitudine, la sensazione di essere l’unica persona simile a me. Ci sono quelle persone che ti dicono “ci sono sempre, ti capisco” e a me dà un po’ fastidio: apprezzo il fatto che tu ci sia, ma non puoi capire. Anche adesso non mi sento di avere delle persone che possano davvero capire come mi sento. Poi sono stato anche effettivamente solo. In questo senso il mio primo ragazzo mi ha aiutato tantissimo. Intanto era una persona su cui appoggiarmi, e poi non stava qua, quindi andare da lui mi aiutava a staccare, perché qui era pesante anche uscire per fare la spesa. La situazione ora è un po’ migliorata, vedo le persone più morbide e tranquille, non so se a causa della televisione. Non tutte ovviamente. A spaventarmi di più sono i ragazzi.”

Luca Gremita si sente parte della comunità lgbtqia+?

“Sì. Tante cose non le condivido, ma non vuol dire che non ne faccia parte o non me ne senta partecipe. Capisco quelle persone che dicono “no, non mi sento rappresentato”, “i Pride sono pagliacciate”… razionalmente le capisco. Perché purtroppo occhi esterni ci vedono solo ed esclusivamente per quello, quindi se una persona è un attimino più tranquilla, più “maschile” tra tante virgolette, si sente fuori luogo. Però quelle manifestazioni che loro definiscono pagliacciate cercano di garantirci tranquillità, diritti, futuro, uguaglianza. Per me è una cosa di appartenenza, a parte il fatto che trovo i Pride bellissimi.

Sarebbe bello se queste persone che non si sentono parte della comunità facessero capire alle persone che ci guardano dall’esterno che siamo persone tutte diverse. Non è che una persona è gay e quindi è in un determinato modo. C’è quello stronzo, quello bello, quello bravo, quello testa di ca**o… ogni persona è una persona, le persone lgbtqia+ non sono tutte uguali.

Questo purtroppo a volte succede anche con le mie amiche. Apprezzo tantissimo che loro si sentano libere di dirmi tutto, però poi magari se ne escono con la frase “voi siete più sensibili”. Posso dire che molto spesso sembriamo non avere sentimenti (ride, ndr).”

Uno dei termini che si usa più spesso nelle questioni lgbtqia+ è accettazione. Mi sembra collegato al discorso che facevi.

“Non ho la pretesa di dire alle persone che ti devo andare bene, ti devo stare simpatico, mi devi per forza accettare. Si tratta più di una cosa di convivenza. Se io non conosco una persona, potrebbe essere la mia migliore amica oppure potrebbe starmi antipatica. Ma questo è indipendente da chi le piace.

Se io non avessi fatto coming out, se avessi continuato a vestirmi sempre di nero e non avessi mai aperto bocca, nessuno avrebbe saputo di me. Magari non avrei perso i miei amici. I pregiudizi ci sono, anche per noi. Sono proprio dentro il nostro corpo, nella società. Dovremmo cercare di venirci incontro. A me va bene stare antipatico a qualcuno, sono abituato, questo però non vuol dire che tu debba rovinarmi la vita ogni giorno.

Sono abituato anche con alcuni ragazzi delle mie amiche. Mi dà fastidio che una mia amica mi dica “ti supporto” e poi il fidanzato è omofobo. Lo trovo un controsenso e l’ho detto anche a loro, però non è facile da spiegare e sembra che voglia mettermi tra loro due, quindi sorvolo un po’. Però mi va bene anche stare antipatico al fidanzato: non mi vuoi vedere, va bene, però se ci incontriamo non mi infastidire, passa avanti e basta.

Mia madre mi ha sempre detto “Le cose le devono far capire le persone più intelligenti”. Il problema è che le persone molto spesso non vogliono capire, quindi ti devi tirare indietro e dire “va bene, faccio come volete voi”. Tanto una persona così in ogni caso non potrebbe far parte della mia vita, quindi non mi interessa, faccio quello che vuoi te e ciao.”

Hai appena finito di frequentare un’Accademia di make up, un settore che per te è molto importante. Come nasce questa relazione tra Luca Gremita e il trucco?

“Ho scoperto che anche da bambino facevo questi impiastri sulla mia faccia, cosa che avevo dimenticato. Poi crescendo l’ho nascosta per evitare problemi. Non alle medie, lì ero inserito molto bene, giocavo a calcio (ride, ndr), anche se non ci capivo niente. Alle superiori il trucco l’ho dovuto nascondere. L’ho ripreso con il mio primo ragazzo e da lì sono impazzito: lo facevo tutti i giorni, più volte al giorno. La mia pelle ne ha risentito un po’.

Comunque questa domanda mi fa un po’ ridere perché ogni volta che esco di casa truccato mia madre mi fa “Ma lo devi fare per forza?” Sì. Se non lo facessi sarebbe come uscire nudo. Innanzitutto mi sento più me stesso. Non che il fondotinta mi faccia cambiare personalità, però mi sento più me, più tranquillo. Sto bene. È ovvio che se esci truccato si vede e quindi ti stai esponendo, ma dall’altra parte a me sembra di essere più coperto. Se qualcuno mi guarda e ha qualcosa da ridire so che è su quello, che è una parte di me che posso togliere.

È anche la modalità di espressione che preferisco. Sono a casa e non ho voglia di essere me? Divento qualcun altro. Cambio il fuori per cambiare il dentro. È come se ogni volta aggiungessi o trasformassi qualcosa di me. Cresco, scopro me stesso, perché so che non mi conosco: oggi sono così, domani non sono sicuro che sarò uguale.

D’altro canto mi sembra un po’ di “regredire”, almeno agli occhi di mia madre e di altre persone. In passato ero molto maschile, nel significato comune che la gente ha del termine: non me ne fregava niente di come mi vestivo, mettevo sempre tute larghe… invece ora mia madre mi vede che mi faccio la faccia bianca, mi coloro gli occhi, mi metto il rossetto. Tant’è che spesso mi chiede se ho intenzione di cambiare sesso, questa cosa ancora non le è molto chiara (ride, ndr). So che mia mamma lo fa per proteggermi, non vuole che quando esco le persone mi dicano qualcosa. Infatti non esco truccato come mi trucco a casa.

Però io sono molto testardo, quindi continuo per la mia strada, so che mi piace quello che sto facendo e che mi serve. Mi serve tanto. Non è che voglio diventare James Charles (un truccatore, ndr), ma sogno di fare questo. Che sia nello sgabuzzino dietro casa o in un posto migliore. Mi basta farlo.”

Ormai mi hai detto più volte che il rapporto con l’esterno non è molto semplice, anche se è migliorato. Ti va di approfondire?

“Il problema è anche stare in un paesino, io sono in difficoltà, perché so che d’impatto qualcuno lo capisce che sono gay. Per quanto superficiale sia giudicare una persona da come è vestita, sono consapevole che la mia estetica fa passare quell’idea. Con i ragazzi ho tanta difficoltà, anche se loro magari non hanno nessun tipo di problema. Quando conosco persone nuove mi freno tantissimo. Ci sono volte in cui sto zitto, non faccio niente, cerco di essere invisibile. Con le ragazze mi capita meno, mi sento più tranquillo. Non sempre faccio bene. Mi mettono in difficoltà soprattutto i ragazzi piccoli, invece quelli più grandi con cui ho avuto a che fare non mi hanno dato problemi, per esempio al lavoro. Anzi.

Però è un po’ di giorni che penso a questa cosa. Ho visto un video di una ragazza su TikTok che si lamentava di offese che aveva ricevuto dicendo che non esiste solo l’omofobia ma anche l’eterofobia. Mi sembra si sia perso un po’ il significato della parola: una persona che viene qua e mi insulta o mi picchia non la posso considerare omofoba. Quella persona non ha paura di me, mi odia, che è diverso.

Al contempo io per quanto riguarda tante persone mi sento un po’ eterofobo o eterofobico, non so come si dice, per quello che ti ho detto prima: quando conosco una persona nuova vado nel panico. Non esco mai da solo, ho paura, soprattutto se so che devo venire qua. Non vorrei che passasse un significato sbagliato della cosa, perché… io ho paura. Ci sono veramente delle situazioni in cui se non sembrassi un pazzo mi alzerei e scapperei. Magari la gente penserebbe che impazzito, ma non sa come ci si sente.”

Quella di Luca Gremita è solo la prima storia di Valdichiana Arcobaleno. Ne arriveranno altre, intanto fateci sapere cosa ne pensate. Se tu che stai leggendo sei una persona lgbtqia+ e vuoi raccontarci la tua esperienza, scrivici a redazione@lavaldichiana.it. Creiamo un mondo in cui tutte le persone possono esistere.

Print Friendly, PDF & Email

1 comment

Lascia un commento

Close