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Compagnia dell’orto del Merlo – Il teatro e la distanza

Compagnia dell’orto del Merlo – Il teatro e la distanza

Da qualche anno mi occupo di drammaturgia e regia per lo spettacolo estivo della Compagnia dell’orto del Merlo, compagnia amatoriale di Cetona. Quest’anno la sfida era unire teatro e distanziamento sociale: due elementi che non credevo coniugabili. Eppure è la sfida che tuttз noi teatrantз ci siamo ritrovatз ad affrontare in questi ultimi mesi. Se me lo concedete, vorrei raccontarvi la mia esperienza.

Tutti gli anni l’Orto del Merlo inizia le prove a maggio e va in scena i primi di agosto. Per rispettare la tabella di marcia, tra marzo e aprile ho iniziato a scrivere il testo.
A metà aprile ancora non sapevamo cosa ci avrebbe aspettato: saremmo andati in scena? Se fosse successo, avremmo dovuto stare distanziati? Lo spettacolo che stavo scrivendo prevedeva che stessero tutti gli uni vicini agli altri, quindi ho deciso di cambiare. Per stare tranquillo. Volevo integrare nella drammaturgia quella distanza che avrebbe caratterizzato lo spettacolo. O meglio, noi supponevamo che ci sarebbe stata: fino all’ultimo non abbiamo avuto idea di cosa sarebbe successo, di quali regole avremmo avuto. Comunque, distanza già nel testo, dicevamo.

Mi è venuto spontaneo raccontare di persone in fila di fronte a un negozio. Sono uscito a fare la spesa durante la quarantena e non ho potuto fare a meno di osservare: di materiale per una storia ce n’era tanto (e non l’ho usato tutto).
Anche se covid-19 non viene mai nominato nel testo, ho voluto reinterpretare una situazione che era ormai diventata familiare: una fila che scorre lenta, le mascherine, le distanze di sicurezza. Queste ultime, nello specifico, proibivano quasi ogni azione scenica: gli attori non potevano toccarsi né potevano mettere le mani sugli stessi oggetti. È la negazione del contatto, una dimensione che per come ero abituato era necessaria al teatro.

Abbiamo iniziato le prove con un mese di ritardo, abbiamo trovato interazioni che non richiedessero vicinanza, abbiamo utilizzato oggetti non condivisi. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta. O quasi.

Ogni tanto, durante una prova, stavamo per fare qualcosa e poi ci rendevamo conto che “no, non lo possiamo fare!”. Passare un pezzo di costume da un personaggio a un altro, per esempio. E quindi ci affrettavamo a cercare soluzioni che rispettassero queste misure (necessarie). Anche adesso, a due settimane dalla fine dello spettacolo, ripenso ad alcune cose che forse non erano esattamente “in regola”. Certo, avevamo tutti le mani igienizzate, eppure…

Il fatto è che alcune cose ci sembravano troppo naturali per una messa in scena. Nemmeno con tutte le regole e le preoccupazioni in mente riuscivamo a vederle come problematiche. Sarà che tutte quelle regole e preoccupazioni ancora non le abbiamo interiorizzate quanto invece abbiamo fatto con il metodo “solito” di fare teatro.

In ogni caso, ce l’abbiamo fatta. No, devo aggiungere un altro “quasi”.
Nel caos delle repliche, del montaggio e dello smontaggio, qualcosa che non andava bene l’ho visto.
Un momento di dialogo tra due persone troppo vicine. Un oggetto non igienizzato per la miliardesima volta.
Oppure una mano che ne prende un’altra durante gli applausi. Igienizzate entrambe, sì, ma da responsabile non potevo fare a meno di preoccuparmi.

Tenere tutto sotto controllo era impossibile (se fate teatro sapete di cosa parlo). Non c’è mai stato rischio davvero, comunque, o non sarei qui a parlarne. Sul momento mi ponevo tutti i problemi che riuscivo a vedere. A posteriori, penso che il teatro stesse scivolando fuori dalla gabbia.

Un esempio di interazione a distanza, che abbiamo dovuto trovare per fare teatro nel 2020
Un’interazione a distanza che un tempo sarebbe stata ravvicinata.

L’orto del Merlo è stato attentissimo. In questo periodo però ho girato anche per spettacoli e concerti, sia davanti che dietro le quinte. Tutte le attenzioni che abbiamo avuto noi, altrз non le hanno avute.

Non voglio rinfacciare niente a nessuno né denunciare. Voglio osservare: forse il teatro non può esistere davvero senza contatto.

Lo si fa lo stesso, certo. Per chi guarda è teatro tanto quanto prima. Ma per chi lo fa il teatro non è solo quello che succede sul palco: è fatto delle emozioni condivise da vicino – vicinissimo, di solito. È fatto di sudore mescolato e di stanchezze sorrette da abbracci. Non lo vivi con la stessa intensità se durante gli applausi non puoi stringere chi ha condiviso l’avventura con te.

Una delle mie attrici, una sera, mi ha detto che le mancava il pre-prova e il post-prova: stare a chiacchiere, bere qualcosa insieme. Senza quei rituali, il teatro aveva un sapore diverso.

Quindi sono qui a domandarmi e domandarvi: il contatto è inevitabile nel teatro? Non è una domanda retorica. Non sto facendo un’affermazione. Ve lo sto sinceramente domandando, perché non lo so.
L’unica cosa che so è che tutti gli anni abbraccio i miei attori – per ringraziarli, per condividere le emozioni brutte e (soprattutto) quelle belle. Quest’anno non l’ho fatto, e sento una mancanza nel petto e tra le braccia.

(Foto di Lucia Roncella)

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2 comments

  1. AnnaMaria Venturini says:

    Sono mancati, sì, gli abbracci alle prime prove nel ritrovarsi dopo tanto tempo, sono mancati gli abbracci durante, a rassicurarci, consolarci, motivarci. Sono mancati gli abbracci alla fine, di gioia e di saluto. È mancato il contatto, le mani strette, le pacche sulle spalle, gli scherzi. È stato strano, un po’ triste. Non lo so se è ugualmente teatro. Ma forse sì, è un modo diverso. E siamo fortunati, perché in un tempo in cui sono impedite le relazioni sociali, i contatti anche fra parenti stretti, con conseguenze psicologiche a volte devastanti, noi un modo di stare vicini l’abbiamo trovato, e motivazione e forza per vivere questo strano tempo della vita.

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