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“Ci siamo fatti un sacco di chilometri…” intervista ai FASK

“Ci siamo fatti un sacco di chilometri…” intervista ai FASK

Sembra ieri che il rider dei Fask veniva inviato da una mail condivisa tra i ragazzi stessi della band, Aimone, Alessandro, Alessio e Jacopo, i quali si autogestivano, per girare l’Italia durante il tour di Cavalli, più di tre anni fa, con un furgoncino colmo di amplificatori, pedaliere e strumenti che raccoglievano dalla loro saletta prove, con le gommapiume scrostate ai bordi, la muffa nei soffitti e le lattine di birra usate come posacenere, lasciate a ossigenare per mesi.

P1050955Oltre ad avere un’appartenenza territoriale (il loro essere perugini lo ricordano almeno dieci volte per ogni live) sono per noi un valore in cui credere. Sono partiti dalle nostre stesse realtà, vicini di casa, hanno costruito un progetto partendo dalle cantine, arrivando a fare tournée europee, con punti cardinali casuali sulla cartina, date random che li hanno fatti viaggiare per tratti stradali lunghi giornate intere; 95 date, per il tour di Cavalli, ormai mitologica opera prima, 105 (c-e-n-t-o-c-i-n-q-u-e) date per Hybris che è già un classico contemporaneo e 80 date per Alaska, ultimo intimo, “maturando”, lavoro uscito nel novembre del 2014. Tutto questo lo hanno fatto per la voglia di costruire un impianto  fondato sulla meraviglia, sulla somma gioia, hanno voluto edificare quanto più bene possibile per sé stessi e per gli altri. I FASK sono un’ideologia, prima di essere qualità musicale. Sono una band che ha segnato profondamente la musica indipendente italiana contemporanea. Hanno accompagnato, con le loro canzoni, molte persone della loro generazione, ed ora anche di quella successiva, e per questo dovremmo essere loro estremamente grati.

Ecco alcuni estratti dell’intervista che i Fast Animal and Slow Kids hanno rilasciato prima del concerto al Live Rock Festival di Acquaviva, mercoledì 9 settembre: la versione integrale la trovate più in basso, direttamente su Soundcloud.

Ci siamo fatti un sacco di chilometri. Col tempo tutto intorno a noi è cresciuto. Ciò che ci ha permesso di crescere è aver accettato di suonare il più possibile in qualsiasi condizione. Di questa crescita non siamo proprio consci ma siamo molto soddisfatti. “

“I nostri concerti sono dei ritrovi. Nei nostri tour abbiamo tempistiche che non ci permettono di avere continuità di rapporti umani. Da una parte c’è questo pubblico ‘amico’, poi c’è il pubblico nuovo, che apprezza esclusivamente la musica, che non viene a vederci per una relazione di amicizia che abbiamo creato, anche perché piano piano vengono meno le occasioni di costruire amicizie vere. Ora c’è in gioco un altro livello di rapporto. Quella sensazione ora si crea direttamente con il live.”

“Non credo cambi molto tra pubblico dei diciassettenni e dei trentenni. Sono lì per godere del concerto. Non vanno giudicati gli approcci, ma la cognizione di causa per cui un pubblico segue una band. Chi è al concerto per pogare e cantare a squarciagola, chi c’è per ascoltare la musica, per riflettere, per analizzare la pedaliera del chitarrista; ecco, l’importante è che ci sia coscienza della causa per cui si va ad un concerto. L’età non conta.”

Non credo si possa parlare di ‘scena’ per l’indie italiano. Sembra che sia così perché alla fine è un “giro”, un nuvolo di band che suonano negli stessi posti e sono veicolati dagli stessi canali, che frequentano gli stessi palchi e si conoscono. Se dici “scena” penso al DIY, penso alla scena hardcore di Washington; in Italia non c’è questa roba qua. Esiste uno scambio di rapporti umani con le altre band perché alla fine sono sempre le stesse le band che suonano in giro. Ma quello che manca sono valori musicali condivisi. È brutto che si unifichi tutto. C’è una scena italiana che prescinde dalla musica. In realtà una “scena” dovrebbe supportare una tipologia musicale, un’ideologia musicale condivisa. Questo non vuol dire che non siamo circondati da persone meravigliose.

(photo credits – Pasquale Modica e Alessia Zuccarello)

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