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Ghino di Tacco: il brigante gentiluomo

Ghino di Tacco: il brigante gentiluomo

«Ghino di Tacco, per la sua fierezza e per le sue ruberie uomo assai famoso, essendo di Siena cacciato e nimico de’ conti di Santa Fiore, ribellò Radicofani alla Chiesa di Roma, e in quel dimorando, chiunque per le circustanti parti passava rubar faceva a’ suoi masnadieri».

Così Giovanni Boccaccio descrisse il brigante Ghino di Tacco in una novella del suo Decameron. Non è quindi un caso se la fama di questo noto personaggio della storia della Valdichiana sia riuscita ad attraversare più di sette secoli per arrivare fino a noi, avvolta da un’aura leggendaria.

Ghino di Tacco nacque a La Fratta intorno al 1265. Il padre Ugolino apparteneva alla nobile famiglia dei Cacciaconti degli Scialenghi, famiglia conosciuta per l’avversione allo Stato pontificio. Infatti i Cacciaconti, proprietari di terre all’interno dei domini del Papa, dovevano versare a quest’ultimo una grande rendita. Avvenne così che nella seconda metà del XIII secolo molti di loro si dettero al brigantaggio per recuperare denaro. In poco tempo il padre di Ghino, Ugolino di Tacco, e lo zio Ghino di Ugolino si ritagliarono una certa fama tra i già conosciuti membri di questa dinastia.

Il loro comportamento fu tollerato per lungo tempo dal Comune di Siena, essendo la famiglia dei Cacciaconti forte e numerosa. Tutto cambiò quando il padre di Ghino insieme al fratello Ghino di Ugolino assaltarono e misero a ferro e fuoco il castello di Torrita, uccidendo per vendetta Iacopo da Guardavalle loro zio. Da quel momento i rapporti tra Siena e i Cacciaconti si ruppero definitivamente. Per anni i “masnadieri” vagarono in Valdichiana, rubando, saccheggiando e nascondendosi sotto la protezioni di parenti nobili. Nel 1285, tuttavia, Ugolino di Tacco e il fratello furono catturati dai senesi, condannati a morte dal giudice Benincasa da Laterina e giustiziati in Piazza del Campo.

La storia da protagonista del giovane Ghino di Tacco iniziò proprio dopo la scomparsa del padre. Condannato insieme al cugino per complicità coi più anziani, vennero graziati perché ancora non adulti, ma banditi dalla città. Per alcuni anni se ne persero le tracce, finché il suo nome venne accostato a scorrerie e all’assassinio del giureconsulto Benincasa da Laterina, lo stesso che aveva fatto uccidere il padre. Si dice che Benincasa fu raggiunto e decapitato addirittura all’interno delle stanze del Vaticano. Un evento narrato anche da Dante nella Divina Commedia nel VI canto del Purgatorio:

«Qui v’eran l’Aretin che da le braccia
Fiere di Ghin’ di Tacco ebbe la morte»

Fu così che anche i giovani di Tacco vennero inseriti nelle liste dei ricercati del Comune di Siena e da allora vagabondarono per la campagna.

Nel 1290 Ghino e i suoi uomini conquistarono la fortezza di Radicofani, che trasformarono nel loro quartier generale. Poco distante passava, e passa tutt’oggi, la Via Francigena percorsa dai pellegrini diretti a Gerusalemme. Il giovane di Tacco si mise a derubare i ricchi viandanti, senza attaccare quelli più poveri e anzi insieme a loro banchettava e si divertiva. La sua fama di brigante gentiluomo trova proprio qui la sua origine. Anche il Boccaccio, come già accennato, rese onore a questo personaggio dedicandogli la seconda novella del decimo giorno nel Decameron, contribuendo così a dare impulso alla sua fama di brigante gentiluomo.

Boccaccio lo dipinge come un ladro gentiluomo. Infatti, nella storia narrata da Elissa, una delle ragazze che si ritira nella campagna fiorentina per scampare alla peste insieme ad altri giovani, viene raccontato di come «Ghino di Tacco piglia l’abate di Clignì e medicalo del male dello stomaco e poi il lascia quale, tornato in corte di Roma, lui riconcilia con Bonifazio papa e fallo friere dello Spedale».

Muovendosi tra realtà storica e fantasia (come accade per altre famose figure di briganti), la novella fa emergere la cortesia di Ghino attraverso il confronto con l’abate. Si legge che l’uomo di chiesa venne catturato dai briganti, perché di passaggio nella loro zona e diretto alle terme per curare un mal di stomaco mortale. Ghino, tuttavia, si preoccupò di curarlo e riservargli ogni giusto trattamento.

La gioia e la riconoscenza dell’abate nei confronti del suo salvatore lo portano a chiedere a papa Bonifacio VIII, con il quale Ghino era in contrasto per l’omicidio nelle stanze pontificie di Benincasa da Laterina, di perdonare quello che in fin dei conti era un gentiluomo in balia di un destino ingiusto a causa delle decisioni infelici del padre molti anni addietro. Così il papa perdonò i crimini di Ghino di Tacco e lo fece cavaliere di San Giovanni e Friere dell’ospedale di Santo Spirito, cariche tanto alte che pure Siena gli concesse il perdono.

Lo stesso episodio è stato narrato anche da San Bernardino da Siena, francescano e teologo, anche stavolta all’interno di una novella nella quale è «Ghinasso» a incontrare «uno abbate grasso grasso».

La fortezza di Radicofani

Ma il destino gli giocò un brutto tiro. La vita del brigante gentiluomo si concluse, infatti, poco tempo dopo quando, tornato in territorio senese, venne accoltellato in una rissa presso Sinalunga.

La fama di Ghino di Tacco, sancita soprattutto dalle pagine di Dante e Boccaccio, è giunta fino a noi ed è particolarmente curioso, oltre che interessante, il fatto che Bettino Craxi usasse il nome di Ghino di Tacco quando firmava i suoi corsivi sull’Avanti. Questo soprannome gli fu dato da Eugenio Scalfari nel 1985. La metafora alludeva al ruvido arbitraggio che il PSI esercitava nella situazione politica italiana, in quanto controllava un pacchetto di voti senza il quale nessuna maggioranza parlamentare avrebbe ottenuto la maggioranza. “Di lì” sintetizzava Repubblica nel 1995 “da quel posto di blocco politico, occorre passare” proprio come i pellegrini sulla Via Francigena nei pressi di Radicofani. “Tra ferito e beffardo, Craxi adotterà il nomignolo”.

Fonti

Renato Magi (a cura di), Ghino di Tacco dall’archivio storico italiano. Finalmente la (vera) Storia di Ghino di Tacco e della sua famiglia ripresa da 49 documenti storici dell’Archivio Storico Italiano tradotti da Don F. Marcello Magrini, 2017

Giovanni Boccaccio, Decameron, a cura di Amedeo Quondam, Maurizio Fiorilla,

Giancarlo Alfano, BUR, 2013.

Luigi Russo (a cura di), Novelle esemplari della narrativa italiana, D’Anna, Messina-Firenze, 1955.

Nello Ajello, L’onorevole Ghino di Tacco, in la Repubblica, 26 ottobre 1995.

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