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La Valdichiana ricorda Robin Williams e Lauren Bacall

La Valdichiana ricorda Robin Williams e Lauren Bacall

Ci hanno fatto ridere, sorridere, piangere e divertire i tanti personaggi di Robin Williams e poi l’uscita di scena dalla vita ci ha lasciato tutti di stucco. Come nei migliori film, quando finiscono nel modo in cui noi non speriamo, la morte di Robin Williams ci ha lasciato l’amaro in bocca. Williams ci ha abituati a tanti personaggi e i suoi film ci hanno accompagnato nella nostra vita, dandoci l’illusione di conoscere l’attore come persona se fosse uno di noi. E invece quei suoi occhi nascondevano quel male di vivere comune a chi nella vita ha tutto e non deve chiedere niente, la depressione, quella depressione che porta a rifugiarsi quasi sempre nella droga, all’alcol e nella maggior parte dei casi porta alla morte. Ma da Robin non ce l’aspettavamo, i suoi personaggi, che comunicavano forza, speranza per il futuro e amore della vita non l’hanno aiutato a salvare lui stesso e quindi, a noi, non ci resta che ricordarlo per i suoi tanti personaggi, per le tante emozioni che ha ci regalato attraverso quell’occhio aperto sul mondo che è il cinema.

La Valdichiana vuole ricordare Robin Williams autointervistandosi e leggete cosa ne è venuto fuori.

Alessio, l’unico commento che può fare alla morte di Robin Williams è una citazione, ma non di un suo film, bensì di Watchmen:

“Un uomo va dal dottore. È depresso. Dice che la vita gli sembra dura e crudele. Dice che si sente solo in un mondo che lo minaccia e ciò che lo aspetta è vago e incerto. Il dottore dice: “La cura è semplice. In città c’è il grande clown Pagliacci. Vallo a vedere e ti tirerà su”. L’uomo scoppia in lacrime. “Ma dottore”, dice, “Pagliacci sono io”. Buona questa. Tutti ridono. Rullo di tamburi. Sipario”.

Matteo ricorda Robin Williams e la sua lunga carriera, spendendo anche qualche parola sulla sua malattia:

“Ci ha regalato una serie di interpretazioni magistrali che rimarranno nella storia del piccolo e del grande schermo alcune delle quali ho amato particolarmente. Non c’è dubbio che la sua morte lasci un enorme vuoto nel mondo Hollywood, un volto sempre sorridente, solare, una faccia che subito potevi riconoscere come amica.

Secondo me il meglio di Robin Williams lo si poteva apprezzare solo durante i suoi spettacoli comici. Soltanto sul palco poteva sprigionare tutta la sua energia e dar pieno sfogo alla sua vena satirica e sprezzante. Ma allora cosa può spingere al suicidio una persona che qualche settimana fa non avrei stentato a definire come positiva? L’attore aveva già dato avvisaglie dei suoi disagi interiori, essendo nel passato più e più volte caduto in dipendenze da droga e alcool, lasciando dietro di se tre matrimoni finiti male spesso per scandali legati alla sua infedeltà coniugale. Ma si sa quello è il mondo di Hollywood, andare in rehab equivale a fare una gita al mare e se non passi gli alimenti almeno a due mogli non sei nessuno.

Fare analisi psicologica post-mortem è senza dubbio inutile e irrispettoso, però vale la pena notare che in alcune sue recenti interviste aveva dato segno di non stare proprio tanto bene con se stesso, tant’è che aveva ammesso di affrontare gli spettacoli comici proprio come se sottoponesse ad una terapia.
Non è il primo comico e non è il primo attore ad ammettere di soffrire di tale disturbo, spero che la morte di Robin Williams sia stato un campanello d’allarme per l’opinione pubblica. Bisogna parlare ed iniziare seriamente a fare qualcosa per questo disturbo. La depressione colpisce ogni giorno moltissime persone, portandole passo-passo ad abbandonare le relazioni sociali, a trascurare i rapporti, a non rispettare gli impegni, spingendole all’autodistruzione, all’isolamento e nei peggiori dei casi al suicidio. Agire adesso significa salvare quelle persone”.

Maria Stella ammette che quando viene a mancare qualcuno di famoso, la cosa non la tocca più di tanto, ma invece…

lattimo_fuggente“Ma svegliarmi l’11 agosto e leggere della morte di Robin Williams, è stata una cosa che mi ha davvero toccato. Era come conoscerlo e gli volevo bene. Era un attore straordinario, camaleontico e dalle mille sfaccettature. Un attore come pochi, coinvolgente e in grado di personificarsi in personaggi di ogni tipo. Impossibile dimenticarsi di lui nei panni di Peter Pan e di Mrs Doubtfire; impossibile dimenticarsi di Alan Parrish in Jumanji e impossibile cancellare dalla mente la sua incredibile interpretazione nel film “L’attimo fuggente”. A me però piace ricordarlo con un film che a mio parere è eccezionale. Ero piccola quando vidi un film che stavano guardando i miei genitori alla televisione. Ne rimasi incantata. Per anni ho cercato invano il titolo di quel film che ogni tanto mi tornava in mente. Non era un’impresa facile, i ricordi di un bambino non sono ben definiti, e l’unica cosa che ricordavo era la sensazione di fascino che provai nei confronti di quel film. Pochi anni fa, praticamente rassegnata, una casualità del destino. Entrai a casa di amici e dando un rapido sguardo allo schermo della televisione, mi resi conto che era proprio il film che stavo cercando. “Al di là dei sogni”. Fu una gioia trovare finalmente ciò che per tanto tempo avevo cercato senza ottenere risultati.
Williams è indubbiamente un grande attore nella storia del cinema. Mi piace pensare di essere legata in qualche modo a lui con un filo invisibile, per via di quel film che da piccolissima mi si è impresso nella mente, e vi è rimasto impresso tanti anni pur non avendo più potuto vederlo. Ciao Capitano!

Chiara dice che la cosa più strana della morte di Robin Williams riguarda proprio il personaggio che lui era.

“Ho riflettuto fin da quando ho appreso la notizia, ho parlato con amici, ho postato una riflessione su Facebook, tutto dovuto, personalmente, a colui che mi ha regalato tre cose, nel corso della sua carriera cinematografica:
1. Ha accompagnato, insieme ad altri, la crescita di me piccola che iniziava a decidere da che parte stare al mondo.
2. Ha delineato i miei sogni quando ero un adolescente, un periodo della vita che ha bisogno di essere guidato non solo dai genitori, ma dal mondo stesso.
3. Infine, ha lasciato che, da adulta, non mi scordassi dei sogni, delle aspettative, dei pomeriggi caldi e assolati passati a mangiare un gelato dopo la scuola, con gli amici. In altre parole: guardando i suoi film, quando capitava, io tornavo piccola.
In particolare quest’ultimo punto: era bello. Di una dolcezza tale che adesso ho timore di tornare a guardare un suo film, ora che so che, in fondo, c’è un po’ di delusione dovuta alle circostanze e alla stranezza della sua morte. O meglio, più che di stranezza oserei parlare di una sorta di destino malmesso, che vacilla un po’ sulle sue gambe di astrazione.
Il suicidio. L’evento indelebile di un uomo che è stato vinto dalla morte e non ha saputo aiutare se stesso come ha fatto con gli altri. La prima cosa che ho pensato è stata: il telegiornale mi prende in giro? Suicidio? Ha passato anni, e innumerevoli riuscitissimi ed emozionanti film fatti di speranza, passione, amore; con gli occhi che luccicano ha parlato della vita e del prossimo in Patch Adams, dell’importanza di credere nei sogni in L’Attimo Fuggente, dell’amore incondizionato in Al di là dei sogni. Sopra ogni cosa esiste la speranza di riuscire e di vincere la sofferenza. Il destino, qui, è incredibilmente ironico. Malvagio. Crudele.
Di tutte le morti del mondo dello spettacolo che ci hanno toccato nel corso del tempo, come l’assenza prematura che Brandon Lee, o Heath Ledger, o molti altri, hanno fatto sentire, loro malgrado, agli amanti del cinema, quella di Robin mi, ci, lascia con l’amaro in bocca.
Mai come ora credo nel destino beffardo, e mai come ora penserò così ardentemente alla vita. Non dimentico gli insegnamenti dei tuoi film, continuerò a ridere e a farmi uscire le lacrime dagli occhi su ogni frase, su ogni gesto. Perché mi hai regalato momenti, donato sensazioni, emozioni che tu stesso non sei riuscito a ricordare per te. Ma si sa, ogni artista è tormentato e ogni persona è migliore ad aiutare gli altri piuttosto che se stesso. Ho deciso di prenderla come l’ultima lezione: l’importante è resistere. Vivere. Non cedere”.

Ed io,Valentina:

“ci tengo ad aggiungere e ricordare il mio film preferito, l’unico film che alla sua vista mi commuove sempre, io che non sono una dalla lacrima facile, ma il Robin nel “L’uomo bicentenario” ci riesce benissimo. Un film semplice, senza tanti giri di parole, un film fatto di sentimenti, di passione, di tenerezza e di volontà, ma nel più terribile degli scenari possibili, quello in cui anche un robot si fa da sé, e decide in sé e per sé del proprio destino. Un po’, forse, come l’attore che l’ha interpretato”.

In questi giorni però il mondo del cinema piange un’altra pietra miliare Lauren Bacall, una delle ultime dive di Hollywood che forse non ha raccolto tanto quanto una Greta Garbo, una Marlene Dietrich (non esattamente della stessa epoca, ma rendono l’idea in quanto dive), o, per rimanere più o meno contemporanea alla Bacall, quanto una Elizabeth Taylor.

A ricordarci di lei tocca alla nostra Alessandra, vera amante di questa strepitosa attrice e di tutte le dive di quei tempi.

53ebb1767044ae374f37fcc4_bacall_vogue“Forse in pochi tra i lettori se la ricorderanno, reputandola anche un’ottima attrice, oltre che una bellissima donna, la cui bellezza è perdurata anche in età avanzata, il che non è da tutte, ma forse è una caratteristica delle vere grandi attrici, senza gli infiniti aiuti e aiutini di un chirurgo estetico, da cui le star odierne si precipitano per ritoccarsi e sistemare qualche ruga che avanza, per sembrare sempre impeccabili. Forse per molti, Lauren Bacall rimarrà sempre “solo” la moglie di Humphrey Bogart, scordandosene le capacità di attrice. L’amore con Bogart era sbocciato sul set di “Acque Del Sud”, nel 1944, e lei giovanissima, l’anno dopo sposò l’attore, e gli rimase accanto fino alla morte nel 1957. E quante volte la Bacall, pur essendosi risposata una seconda volta, ma per pochi anni, ricordò con amore e intensità quel legame sincero con Bogart. Un amore che probabilmente, era andato oltre la morte. Durante il matrimonio con lui, hanno recitato insieme in altri film, tra cui ricordiamo “Il Grande Sonno”. Altre interpretazioni degne di nota sono state le due commedie, “Come Sposare Un Milionario” e “La Donna del Destino”.
Dopo la morte di Bogart, è stato interessante notare come la Bacall, con alle spalle studi all’Accademia di Arti Drammatiche e ruoli a Broadway, si sia dedicata al teatro e al musical, vincendo un Tony Award, riducendo sempre più le apparizioni cinematografiche, e solo nel 1996 arriva a vincere un Golden Globe e riesce a ricevere una nomination agli Oscar, con “L’Amore Ha Due Facce”. L’Oscar, comunque, le arrivò per la bellissima carriera, comunque molto prolifica e poliedrica, spaziando tra teatro, cinema e televisione. Una bellezza d’altri tempi, garbata e di un’altra classe, che se ne va. Una bellezza e un talento che oggi non ci sono più”.

Ecco e adesso vi spiego il perché di questo strano articolo. Come Robin riusciva ad interpretare personaggi totalmente diversi tra di loro, noi abbiamo cercato di ricordarlo e parlare di lui attraverso voci diverse. Non era giusto far scrivere l’articolo ad uno di noi, alla fine la sua figura ha accompagnato tutti nella nostra vita e ed è giusto che ognuno di noi dica qualcosa su di lui e racconti tutte le emozioni che questo immenso e poliedrico attore ha regalato, non per niente è stato soprannominato uno, nessuno e centomila.

Ci vorrete scusare per la lunghezza dell’articolo ma non potevamo fare diversamente, due attori così meritavano i nostri saluti e i saluti de La Valdichiana.

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