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Socialitas, socialitatis: l’Irlanda nei pub

Socialitas, socialitatis: l’Irlanda nei pub

Se la socialità in Italia si sviluppa nei bar, in Irlanda essa si mescola con gli alcolici nei pub. O almeno questo è risultato dalle osservazioni personali che la sottoscritta ha raccolto in anni di viaggi. Lunghe file di boccali vuoti sui tavoli e sul bancone dei pub riempiono i fine settimana irlandesi. Luoghi tradizionali, con una vecchia storia alle spalle e una moderna legata al turismo internazionale. Ma realmente fortunato sarà il viaggiatore che avrà il coraggio di spingersi al di là delle famose Dublino, Galway e Cork e che si inoltrerà nei piccoli paesi sparsi all’interno di ogni contea. Ad attenderlo ci sarà, infatti, un teatro di parole, persone e sentimenti umani. I luoghi, bene o male, si assomigliano: stanze e locali vuoti, come se ne trovano in qualunque parte di mondo e tempo; mentre le persone, attraverso i loro modi di dire e di fare, cambiano le situazioni e creano le storie da raccontare.

Oggi voglio narrarvi una storia irlandese. Si tratta di qualcosa che ho scelto accuratamente tra tutti i ricordi raccolti in quell’angolo di mondo, allo scopo di fornire la mia idea di cosa sia la socialità in Irlanda.

Il pezzo principale di questa storia si svolge a Kilkenny, cittadina situata al centro dell’omonima contea. Una sera, riparandomi dalla pioggia e dal vento, ho cercato rifugio in una porticina senza insegne, con una lanterna appesa all’esterno che indicava la possibilità di calore e birra. Se le parole mi assistono, l’intento di ricreare quella sera troverà un esito positivo.

Immaginate: luci soffuse, chiacchiere sommesse colorate da un uomo che pulisce un bicchiere dietro al bancone. Davanti a lui tre uomini seduti, a guardarsi ridendo negli occhi mentre stringono la loro birra tra le mani. Intorno a loro tavoli pieni, e un’aria che sa di familiare, come se quel luogo tenesse tra le braccia ogni singolo avventore.

Io mi siedo in un angolo, stretta nella mia sciarpa, infreddolita e bisognosa del tempo necessario a scaldarmi, e attendo la mia bevanda rigeneratrice. A un tavolo accanto al mio ci sono quattro persone: la prima cosa che colpisce è l’età. In circolo, le mani giunte davanti a loro, ci sono un vecchio, un uomo e due giovani, maschio e femmina. Il vecchio è talmente in là con gli anni che riesce a malapena a bere un bicchiere d’acqua con una fetta di limone. Le parole che escono dalla sua bocca, però, sono piene di vigore, cariche di esperienza. Mentre lui parla, l’uomo alla sua destra annuisce guardandolo di sottecchi, mentre il giovane con la giacca marrone e la ragazza con la cascata di capelli neri e ricci lo guardano con gli occhi che si illuminano. Mentre li osservo, realizzo un’idea improvvisa, una constatazione ineluttabile figlia di tante piccole immagini provenienti da ogni angolo irlandese da me visitato. Queste mi si affollano nella mente, e si uniscono alla visione del quadretto che si prospetta davanti ai miei occhi. Giungo a una conclusione: l’anzianità, in Irlanda, è una condizione ammirata. Chi è anziano è anche un cantastorie, un saggio, una persona che ha vissuto la guerra, le lotte intestine, la fame nei vecchi campi di Athenry. Diventa, quindi, una persona da ascoltare, con le labbra tremanti e le orecchie tese a captare ogni singolo e minuzioso dettaglio.

Rifletto, e i miei occhi si fanno vitrei al pensiero di mio nonno, a quando mi narrava le stesse vecchie storie, io con le mani sporche di gelato, e penso che in Italia la saggezza degli anziani non viene rispettata come dovrebbe, ma questa è un’altra storia della quale avrò modo di parlare in futuro.

Ricordate, invece, i tre uomini seduti al bancone, quelli che stringevano i loro boccali e i cui occhi ridevano? Bene. Mentre i miei pensieri vagavano da un’altra parte, l’uomo sulla destra si alza e si sistema lentamente al centro della sala. Si schiarisce la gola e, chinando leggermente la testa, comincia a cantare una canzone lenta, che sa di malinconia. Il silenzio scende fitto, e io osservo incuriosita gli astanti: ognuno di loro, nessuna eccezione, si è ammutolito e ha abbassato lo sguardo. Ovviamente io non conosco quella canzone, e avrei impiegato mesi per capire quale fosse. Si tratta di una famosa ballata irlandese che commemora la Ribellione del 1798, composta da Patrick Joseph McCall nel 1898. Si chiama Boolavogue, parla della morte di Father John Murphy, e le sue parole colpiscono il cuore. Mettete play, e provate a entrare nell’atmosfera di quella sera, mentre l’uomo schiariva le menti con la sua calda voce, e l’aria si riempiva di storia.

Boolavogue nell’interpretazione di Brian Roebuck, con Gerry O’Connor e Mick O’Brien

Estranea ed esterna, mi son sentita spettatore privilegiato di un momento, e ho cercato di imprimerlo il più possibile nella mente, osservando con minuzioso rispetto la lacrima che, vi giuro, è scesa sulla guancia del vecchio uomo, mentre stringeva quasi con rabbia la sua acqua con limone.

Ecco dunque il racconto di una delle modalità di partecipazione che costruiscono la socialità in Irlanda. Un’osservazione, niente più: da una parte l’ilarità di un popolo allegro, ospitale, incline alla risata; dall’altra la malinconia di chi è figlio della sofferenza. Di sfondo, immancabile, la condivisione di una storia difficile, che li unisce dal più piccolo al più grande degli individui.

Foto in copertina di LifeHack Quotes

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