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L’accoglienza dei migranti: come bambini in un asilo

L’accoglienza dei migranti: come bambini in un asilo

Il tema dell’accoglienza dei migranti dovrebbe più correttamente riferirsi ai “richiedenti asilo”. Stiamo infatti parlando di persone che lasciano il paese d’origine e sono temporaneamente accolte in Italia o in Europa perché hanno fatto richiesta di un diritto internazionalmente riconosciuto e presente anche nella nostra Costituzione. Fintanto che il sistema giudiziario non valuta la correttezza delle loro richieste, essi sono definiti da uno status ambiguo che li lascia in un limbo che è quasi fuori dall’ordinamento sociale e giuridico; può durare per molti mesi, addirittura anni.

D’altronde, la stessa parola “asilo” rileva un’ambiguità di fondo in questo contesto, se consideriamo la sua etimologia. Dal greco Asylum, era riferito ai templi o ai luoghi sacri in cui i criminali erano temporaneamente protetti dal diritto di cattura: luoghi sicuri e fuori dalla legge, poiché si situavano sopra di essa. Da luogo sicuro per i colpevoli, nell’età classica, a luogo sicuro destinato ai bambini nell’età contemporanea: oggi l’asilo è il luogo in cui poter lasciare gli infanti mentre i genitori sono al lavoro, per accudirli e farli crescere, in quanto non sono ancora autosufficienti per vivere nella società e non hanno ancora pienamente acquisito lo status di persona.

Che siano riferiti all’accezione di criminali o bambini alla ricerca di un luogo sicuro, quindi, coloro che ricorrono al diritto d’asilo nell’ambito delle migrazioni internazionali hanno già, per definizione, uno status inferiore a quello della persona libera.

Per approfondire questi temi ho analizzato un caso di studio sul territorio in cui vivo: il centro di accoglienza di Montepulciano Stazione. Ho svolto interviste e ricerche, raccolto storie di vita e documentazioni nel corso dei primi mesi del 2017; da questa inchiesta è nato un lavoro molto più complesso e articolato, di cui vi propongo alcuni punti salienti.

I sistemi di accoglienza in Italia

L’eccellenza del sistema di accoglienza nel nostro Paese è rappresentata dalla rete SPRAR, ovvero il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Esso è costituito dalla rete degli enti locali, supportati dalle associazioni del terzo settore, che garantiscono interventi di accoglienza integrata. Lo SPRAR è un sistema che consente non soltanto la distribuzione di vitto e alloggio, ma anche i servizi di assistenza e orientamento, l’inserimento sociale ed economico, la mediazione culturale. Si tratta di un sistema che ha ricevuto numerosi attestati di merito e che è specificamente destinato ai richiedenti asilo e ai rifugiati.

Non tutti gli enti locali, tuttavia, hanno aderito alla rete SPRAR: ad oggi si contano soltanto circa 1200 comuni su un totale di circa 8000 comuni italiani. Alla fine del 2016 la situazione è quella ben descritta dall’approfondimento de “La Stampa”, con Comuni in sofferenza e altri neppure toccati dalla situazione.

Inoltre, l’ambigua condizione che continuano a vivere i migranti (sospesi tra richiedenti asilo, titolari di un qualche tipo di protezione internazionale, profughi o clandestini) ha impedito di fare chiarezza tra i centri di accoglienza primaria (per l’identificazione dei richiedenti asilo e la gestione delle prime fasi di arrivo) e quelli di accoglienza secondaria (per l’inserimento sociale e culturale di coloro che ne hanno diritto), finendo per mischiare le carte in tavola e smistando i migranti, sulla base della contingenza e dell’emergenza, tra le varie tipologie di strutture.

Non tutti gli enti locali hanno aderito alla rete SPRAR, ma gli sbarchi non si sono fermati. Per quanto non si possa parlare di “invasione” o di “emergenza sbarchi”, il numero degli arrivi è comunque superiore ai posti messi a disposizione da questa rete (nel 2016 circa 360mila sbarchi a fronte dei circa 26mila posti disponibili – attraverso le fonti di Open Migration). Lo Stato italiano ha quindi dovuto ricorrere ad altre tipologie di centri accoglienza quali il  Cpsa, il Cara, il Cie, e soprattutto i Cas, a partire dal 2014; misure alternative che permettessero comunque di distribuire la presenza dei migranti nei territori, anche in quelli periferici, diminuendo la loro incidenza nelle grandi città e nelle periferie.

Sono soprattutto i centri Cas a costituire la parte più ambigua del sistema: essi non hanno bisogno del rapporto diretto con l’ente locale e al loro interno vengono smistati anche i richiedenti asilo che avrebbero diritto ai servizi più avanzati di inserimento. È bene chiarire che la criticità dei Cas non è soltanto relativa al mancato esercizio di un diritto, ma anche alla loro peggiore gestione, al loro costo più alto e alla loro efficienza più bassa. Nei Cas la rendicontazione dei costi è più difficile da ottenere e la trasparenza non è sempre garantita.

La riuscita dei Cas dipende dalla singola capacità degli operatori dei centri, e questo denota una mancanza di strutturazione del servizio: la buona accoglienza, con questo sistema, diventa l’eccezione e non la norma. A questo proposito, la campagna “InCAStrati” mira a mettere in luce le storture e l’ambiguità del sistema di accoglienza in cui stiamo vivendo: ci troviamo infatti di fronte a una cipolla a più strati, un sistema di accoglienza che dal 2014 ad oggi non è cambiato, e in cui la situazione non fa che peggiorare.

I migranti di Montepulciano Stazione

In questo contesto si inserisce il centro di accoglienza di Montepulciano Stazione, che ha cominciato le sue attività a Dicembre 2016. Si tratta di un Cas gestito da un imprenditore di Chianciano Terme, Massimo Fiorini, all’interno di una struttura alberghiera, con il supporto di un’associazione del terzo settore di riferimento, ovvero la Croce Rossa locale.

Il centro gestisce 26 migranti provenienti da Ghana, Nigeria, Somalia, Costa d’Avorio, Mali, Bangladesh e Pakistan, suddivisi in 24 adulti e 2 bambini. Per loro stessa ammissione, l’esperienza si sta rivelando buona: durante le mie interviste ho raccolto commenti positivi e nessuna lamentela.

La struttura di accoglienza funziona sulla base di precisi orari: la colazione alle ore 7:30 di mattina, il pranzo alle ore 12:00, la cena alle ore 18:00. Tale orario costituisce anche la chiusura serale del centro: se qualcuno degli ospiti dovesse rientrare nella struttura dopo l’orario stabilito, i gestori sono tenuti a comunicarlo alla Prefettura per eventuali provvedimenti disciplinari.

Il regolamento del centro di accoglienza cita anche i casi di allontanamento: l’uscita dei migranti è consentita limitatamente alle ore diurne. Chi vuole allontanarsi per più tempo, per motivi personali o per attività connesse alle domande di asilo, deve effettuare una richiesta preventiva alla prefettura per ottenere un permesso temporaneo.

In cambio dell’erogazione dei servizi del centro, i migranti ospitati a Montepulciano Stazione si impegnano a firmare quotidianamente il registro delle presenze, frequentare i corsi di lingua italiana, partecipare alle pulizie degli spazi privati e comuni. Alcuni vorrebbero lavorare, ma finché non hanno una richiesta provvisoria di permesso di soggiorno, non posso essere iscritti all’ufficio di collocamento. Tre di loro hanno fatto richiesta per frequentare il corso e diventare volontari della Croce Rossa di Montepulciano Stazione.

I richiedenti asilo imparano la lingua italiana

Non-persone, bambini e migranti

Il caso di Montepulciano Stazione mi permette di affrontare alcuni aspetti complessivi del sistema di gestione. Il fulcro della questione è già nella definizione linguistica: la parola asilo rappresenta pienamente tutta l’ambiguità di fondo del contesto in cui vivono i migranti nei centri di accoglienza. L’asilo è il luogo sicuro in cui i criminali si rifugiano, il luogo sacro situato sopra la legge; ma è anche il luogo sicuro in cui i genitori lasciano i figli mentre vanno al lavoro.

Gli infanti nell’asilo non sono ancora sufficientemente maturi: non sono ancora diventate persone. In maniera simile, i criminali posti fuori dalla legge, nel sacro territorio dell’asilo, non possono essere catturati e quindi neppure difesi: sono temporaneamente fuori dalla legalità, dal sistema dei diritti e dei doveri che accomuna tutte le persone che hanno acquisito lo status di cittadino.

Anche un criminale, che ha un’accezione negativa, è diventato perlomeno una persona, rispetto a chi rimane fuori da questo sistema. Finché rimane dentro all’asilo, è una non-persona, che non può neppure accedere al sistema giudiziario. Al pari dell’infante, però, l’asilo è una condizione temporanea: prima o poi il bambino crescerà, e potrà diventare una persona a tutti gli effetti.

Anche i richiedenti asilo si trovano in una situazione temporanea di non-persone. Sono in attesa di valutazione da parte di una commissione competente, e fintanto che questa condizione perdura, sono accolti nel loro asilo, un luogo sicuro e separato dalla cittadinanza. Dentro all’asilo non si è ancora persone: in cambio della sicurezza, si perdono autonomia o libertà ( o non si acquistano mai, finché non se ne esce). D’altronde, lo stesso sistema di accoglienza della rete Sprar ha come obiettivo la “(ri)conquista dell’autonomia” da parte dei richiedenti asilo e quindi dello status di persona libera: segno evidente che i migranti che si trovano al loro interno non hanno ancora un’autonomia e si trovano in una posizione ambigua e indefinita.

In uno Stato come quello italiano, in una civiltà come quella occidentale, in cui lo status di persona è riconosciuto a ogni individuo, i richiedenti asilo sembrano provocare un paradosso. Non sono delle persone, ma devono ancora diventarlo, come se fossero degli eterni bambini.

Questo tema era già stato al centro del mio precedente lavoro sui migranti di Torrita di Siena. Alla fine di tale ricerca avevo teorizzato la figura del migrante come quella del figlio adottivo, che attraverso il sistema di gestione dell’accoglienza riceve vitto, alloggio, vestiti e paghetta mensile. In cambio di questi servizi, forniti dal loro genitore adottivo rappresentato dal centro di accoglienza, sacrifica la sua dignità di persona e il pieno godimento dei diritti individuali.

La situazione nel centro di accoglienza di Montepulciano Stazione è simile: anzi, il regolamento predisposto dalla Croce Rossa in accordo con la Prefettura di Siena permette di fare un ulteriore passo avanti nella riflessione. Il regolamento chiede il rispetto di una serie di impegni e di divieti, oltre a dare delle indicazioni generali sui servizi offerti e sul modello di comportamento; in caso di ripetute infrazioni o grave violazione dello stesso, è previsto l’allontanamento della struttura o addirittura la revoca del diritto all’accoglienza.

La tabella dei divieti imposti agli ospiti è molto interessante, perché mischia norme di carattere legale a considerazioni di carattere morale; mischia indicazioni di “buona educazione” a condizioni d’uso della struttura alberghiera. Vi sono comprese norme già sancite dal diritto pubblico, e che non avrebbero bisogno di essere specificate, perché sono già vietate per legge (usare violenza contro altre persone, usare droghe, danneggiare la proprietà privata); vi sono limitazioni più strette rispetto a quelle che le persone, facenti parte della comunità dei cittadini, devono rispettare (usare alcolici, ospitare amici e parenti). E poi, accanto a quelle che potremmo considerare come delle norme di salvaguardia della struttura alberghiera ospitante, ci sono le indicazioni di buona educazione (rovistare nei cassonetti della spazzatura) che sembrano essere indirizzate più alla percezione esterna che la cittadinanza potrebbe avere degli ospiti, che a una reale necessità di gestione del centro.

Queste non sono norme necessarie alla corretta gestione di un centro d’accoglienza per richiedenti asilo: sono le norme di un collegio. Gli ospiti all’interno della struttura sono considerati al pari di eterni bambini, rinchiusi in un collegio con regolamenti più stringenti rispetto a quelli a cui ha diritto la società di persone. E a cui loro non hanno ancora diritto, in quanto non-persone.

La condizione di eterni bambini è il risultato dell’infantilizzazione che costringe i richiedenti asilo in un limbo che tra rinvii burocratici e appelli giudiziari può durare anni; in questa condizione temporanea essi sono costretti a vivere nel collegio dei centri di accoglienza, in attesa che venga loro riconosciuto lo status di persona, nel luogo sicuro e fuori dalla legge costituito dal loro asilo.

Ma le persone continueranno a migrare e a cercare di migliorare la propria condizione; prima o poi i bambini diventeranno adulti, e non potremo chiuderle in luoghi sicuri per tutta la vita.

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