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Manfredi Rutelli: «Non abbiamo bisogno di un “Teatro del Lockdown”»

Manfredi Rutelli: «Non abbiamo bisogno di un “Teatro del Lockdown”»

Valdichiana Teatro in questo periodo si vuole dimostrare solidale con i lavoratori dello spettacolo e con tutte le realtà che gravitano attorno agli spazi dedicati al teatro e all’aggregazione culturale. Vogliamo raccontare, attraverso le voci dei protagonisti, le associazioni, le compagnie e gli operatori culturali, che portano avanti iniziative e resistono, nonostante le contingenze. In questi giorni abbiamo parlato con Manfredi Rutelli, direttore del Teatro Caos di Chianciano Terme e della compagnia LST Teatro, nonché regista, drammaturgo e docente teatrale, attivo da trent’anni nel circuito teatrale nazionale. Il 7 e l’8 novembre il teatro Caos avrebbe dovuto riprendere la stagione teatrale: la seconda ondata di emergenza sanitaria ha purtroppo reso impossibile realizzare i programmi. La creatività e le iniziative però non si fermano.

Come si stanno confrontando il Teatro Caos e la Compagnia LST Teatro con questo momento storico così difficile per chi lavora nell’ambito dello spettacolo? 

Manfredi Rutelli: Le difficoltà sono molteplici. Noi abbiamo cercato di tenere in vita i nostri progetti il più possibile, sia per quanto riguarda gli spettacoli che per la stagione teatrale, e ovviamente anche i laboratori. Per i 27 bambini cui a marzo furono bruscamente interrotte le reti sociali, ci organizzammo subito con le lezioni a distanza. Ci sembrava un aiuto importante da fornire non solo ai bambini, ma più in generale alle famiglie. Avrei voluto portare avanti il laboratorio dei bambini all’inizio di questa nuova stagione, ma ci siamo resi conto che l’emergenza non era conclusa. Abbiamo proseguito i laboratori in presenza finché abbiamo potuto, visto che l’ultimo DPCM di fatto non vietava le attività in teatro in assenza di pubblico.

Da quando la Toscana è divenuta Zona Rossa, quali sono state le modifiche all’organizzazione? 

Manfredi Rutelli: Venerdì 13 novembre, prima che la Toscana diventasse zona-rossa, abbiamo fatto l’ultimo incontro in presenza. Dal 16 novembre, abbiamo cominciato a lavorare on-line. Con gli adulti Gianni Poliziani sta portando avanti un percorso sull’approfondimento del testo e sulla memorizzazione dello spettacolo che il gruppo stava cominciando a mettere in piedi. Io continuo a lavorare con i ragazzi nell’ambito della lettura espressiva, l’analisi del testo e della drammaturgia. Ci tengo a dire che alcuni teatri continuano a vivere, laddove ovviamente c’è professionismo: ci sono compagnie professionali, che continuano a fare prove. Ho colleghi che stanno provando e lavorando all’interno di teatri che quindi non sono totalmente inattivi. Allo stesso tempo, fino a qualche giorno fa, si potevano teoricamente fare laboratori, in teatro, rispettando ovviamente il distanziamento, indossando la mascherina e igienizzando le mani. Io ho cercato, finché c’è stata la possibilità di lavorare in presenza, di elaborare esercizi che si confrontassero direttamente con queste limitazioni espressive.

…è il potere del teatro: lo sfruttare l’imprevisto e l’ostacolo a fini creativi, no? 

MR: Sì, ma non voglio essere retorico. Non mi va di voler sottolineare il potere salvifico del teatro in questo momento storico o nei confronti della pandemia. Sono molto contrario ad un teatro che parli di lockdown: il giorno che torneremo sulla scena, io non credo che il pubblico voglia sentirsi raccontare ancora queste cose. È vero che il teatro è anche catarsi, è anche redenzione e produzione di nuovi significati: certo, è vero, ma si possono affrontare le criticità del nostro tempo usando altre soluzioni, altre metafore o allegorie. Soprattuto è possibile capire meglio la nostra situazione usando testi che esistono già. Giusto ieri parlavo con un mio amico giornalista fiorentino che mi ha chiesto se stessi scrivendo qualcosa. Certo, ho risposto, sto scrivendo ho progetti per il 2021, tra cui alcune cose che mi sono state richieste. Mi ha chiesto: sono cose sulla pandemia?, No! ho risposto secco, assolutamente no. Non ne sento l’urgenza, non credo sia necessario. 

Credi quindi che sia un argomento che non dovrebbe essere analizzato subito, ma abbia bisogno di tempo per essere compreso? 

MR: Adesso è talmente tutto così mutevole, fluido, indefinito e confuso, che scrivere qualcosa riguardo alla nostra situazione è molto rischioso. Le convinzioni crollano da un giorno all’altro, le speranze, le prospettive, i programmi, tutto cambia molto velocemente. C’è ancora molta confusione, anche solo nella semplice comprensione di ciò che sta accadendo. Fare un’analisi attraverso uno spettacolo teatrale è veramente un azzardo. In più, ripeto, il pubblico non vuole veder rappresentato qualcosa che già con molta fatica sta vivendo. Io ho già sperimentato questa cosa con il Teatro Povero di Monticchiello di quest’anno, stando ben attento a non eccedere con la retorica: ecco, rispetto all’estate, credo che non ci sia proprio bisogno di tornare a scrivere di lockdown, di distanziamento, di Covid. Personalmente ho già trattato e superato questa tematica dal punto di vista drammaturgico.  

A proposito di situazione caotica, non ti ho mai chiesto perché è stato scelto il riferimento pirandelliano del CAOS, per denominare il teatro di Chianciano… 

MR: Quando l’amministrazione comunale ha deliberato l’apertura del teatro, due anni fa, aveva suggerito, per la denominazione, di utilizzare un riferimento a Pirandello, poiché all’inizio del Novecento l’autore aveva soggiornato a lungo nella cittadina termale. Nominare però Teatro Pirandello il nostro spazio, mi spaventava terribilmente. Sarebbe stato un nome impegnativo. Avevo paura che allontanasse un potenziale nuovo pubblico, invece di avvicinarlo. C’era quindi il desiderio di trovare una relazione diversa, che in qualche modo evocasse l’idea, confusionaria e disordinata, dell’atto creativo. Ho quindi proposto “Teatro CAOS”, ricordandomi di quella lettera pirandelliana in cui il grande autore scriveva di essere appunto “figlio del Caos”, riferendosi alla contrada di Càvusu in cui nacque. Ecco, il nome ha risposto al bisogno di abbinarsi al richiamo filologico della figura di Pirandello, ma che allo stesso tempo suscitasse un’immagine confusa, un big-bang da cui nascono universi creativi. 

La compagnia teatrale LST Teatro avrebbe dovuto festeggiare i 20 anni di attività. I festeggiamenti sono annullati o rimandati? 

MR: La compagnia è nata a fine ottobre del 2000, con una prima produzione, che andò poi in scena nel dicembre dello stesso anno, intitolata La Banda di Pierpaolo Palladino, con Flavio Insinna. Sono passati venti anni e volevamo festeggiarli a dovere, con un evento a settembre, insieme ai collaboratori e agli amici che hanno fatto parte dei nostri progetti. Non abbiamo potuto fare l’evento, e quindi abbiamo deciso di estendere i festeggiamenti per tutto l’anno. Abbiamo creato il marchio “E20” che accompagnerà per i prossimi mesi ogni nostra attività, in modo da celebrare questo compleanno ogni giorno. Speriamo poi di fare un evento all’aperto, nell’estate 2021, quando – ci auguriamo – sarà possibile tornare a condividere momenti di gioia. 

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