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Tempo di Circo, tempo di Festa di Carnevale

Tempo di Circo, tempo di Festa di Carnevale

Nel mese di settembre ho partecipato al Cirk Fantastik, il Festival Internazionale del Circo Contemporaneo di Firenze. Mi sono unito a loro per qualche giorno come volontario, alla ricerca di un’esperienza per spezzare la quotidianità e di un modo per sfuggire alle responsabilità lavorative. Ho vissuto insieme ai volontari, allo staff e alle compagnie circensi per qualche giorno, dividendo lo stesso cibo e lo stesso ambiente, imparando e confrontandomi con loro in una situazione che era fuori dalla mia comfort zone abituale.

Nel mio piccolo, ho fatto una sorta di ricerca etnografica sul campo. Una piccola esperienza di osservazione partecipante, in cui ho avuto modo di conoscere usi e costumi di un ambiente diverso dal mio, conoscendo le persone e il loro vissuto, le loro aspirazioni e il loro modo di interpretare il mondo. 

In questo senso, la ricerca di un’esperienza fuori dall’ordinario, è stata pienamente rispettata. Proprio in un contesto come quello del circo, stra-ordinario per sua stessa natura, ho vissuto delle giornate doppiamente fuori dal quotidiano: un’esperienza che ha allungato il mio periodo temporale festivo, al termine dell’estate, dopo essere già stato parte dello staff del Birranthology Festival di Scrofiano e del Live Rock Festival di Acquaviva, seppur con situazioni e funzioni diverse.

L’esperienza stra-ordinaria del circo, per me, non è stata importante solo come ricerca di un “tempo di festa” che si opponesse al “tempo del lavoro”; ma è stata anche frutto di riflessioni che voglio condividere con voi, in un percorso che attraversa i concetti di festa e carnevale.

Il Circo come Carnevale

Il circo lo conosciamo tutti, anche perché ha probabilmente fatto parte del nostro immaginario fin da piccoli: uno spettacolo itinerante sotto grandi tendoni colorati, fatto da acrobati, giocolieri, pagliacci e artisti di varia natura, che nel corso del tempo ha abbandonato l’uso degli animali ammaestrati e si è adattato ai gusti del pubblico. Intorno al circo c’è una comunità viaggiante di artisti, tecnici e appassionati, che possono anche condurre una vita nomade, accompagnando il circo di paese in paese, portando lo spettacolo in piazze, parchi, giardini, centri urbani o periferie.

Il circo, però, è diverso da altre forme di spettacolo. Andare al circo significa partecipare a un’esperienza di intrattenimento, ma anche a un’esperienza teatrale. Il circo contemporaneo, così vicino al teatro, comprende molti dei suoi aspetti rituali. Le origini del teatro affondano nei miti antichi, nelle forme di riunione rituale, eventi collettivi in cui venivano messe in scena rappresentazioni simboliche importanti. Non starò qui ad approfondire il tema della “catarsi” delle rappresentazioni teatrali, ma il ruolo del teatro è sempre stato decisivo nel rafforzamento dei gruppi sociali.

C’è un altro aspetto che mi sembra importante nella riflessione attorno al circo, ovvero la ritualità delle feste. Le rappresentazioni teatrali possono essere infatti inserite all’interno di eventi simbolicamente più importanti, che possiamo chiamare “feste” (anche se non tutte le feste hanno elementi teatrali, e non tutto il teatro ha elementi festivi).

Come possiamo definire una festa? Sicuramente è un evento collettivo, che coinvolge uno o più gruppi sociali. E poi interrompe la vita quotidiana: la festa è un tempo speciale che viene situata fuori dall’ordinario. Ha degli aspetti rituali, nel senso che “si fa festa” attraverso una serie di azioni simboliche, formalizzate nel corso delle ripetizioni, suscettibili al cambiamento del tempo e dello spazio, che permettono ai partecipanti di entrare in un altro universo di senso rispetto alla vita quotidiana. La festa è fuori dalla vita ordinaria, come il palcoscenico del teatro è fuori dalla platea del pubblico. 

Riflettendo su festa, rito e teatro, se penso all’essenza del circo, mi viene da pensare nello specifico alla Festa di Carnevale.

Il Carnevale è una delle feste più importanti del nostro calendario annuale: tuttora lo festeggiamo, con una serie di sfilate in maschera, grandi carri di cartapesta, dolci tipici e falò in piazza. Se penso al Carnevale attuale, penso ai bambini che vanno in giro a fare scherzi, alle strade di Foiano della Chiana tappezzate di coriandoli, pile di legna bruciata, costumi da vampiro o da principessa, musica e balli, frittelle e chiacchere. Ognuno ha le sue memorie e le sue esperienze legate al Carnevale, ma tutti abbiamo un nostro modo di festeggiarlo.

Il Carnevale è una tipologia di festa che è stata a lungo studiata e discussa, con una miriade di varianti più o meno locali e di caratteristiche anche diverse tra loro. Se cercassimo un significato profondo, potremmo pensare a questa festa come una forma rituale di metafora della sconfitta dell’inverno, dovuta alla sopravvivenza di riti agresti e pagani: il fuoco che brucia in piazza, i fantocci che vengono sacrificati all’arrivo della primavera, i dolci da mangiare prima dell’ultimo digiuno (quello della Quaresima, prima di Pasqua, che poi rappresenta l’arrivo della primavera e della stagione del raccolto, quando finalmente le campagne tornano rigogliose e si può tornare a mangiare a sufficienza).

Ma il Carnevale rappresenta anche una sorta di “mondo alla rovescia”, con le sue maschere e le sue tradizioni scherzose. Ci sono situazioni in cui si abbatte simbolicamente il potere, in cui i servi diventano padroni, in cui per qualche giorno tutto è possibile. La tradizione carnevalesca prevede una inversione di ruoli, un periodo in cui tutto viene concesso e ci si può dare alla pazza gioia. Poi, alla fine della festa (come in un rito di “catarsi” collettiva), i ruoli sovvertiti durante i giorni di Carnevale tornano alla forma originaria, ancor più rafforzati, dopo aver mostrato il caos causato dal sovvertimento dell’ordine.

In questo senso il circo, con i suoi tendoni festosi e burleschi, i giocolieri e gli acrobati, può avvicinarsi agli aspetti di “mondo alla rovescia” e di caos creativo del Carnevale. I pagliacci, gli acrobati, i giocolieri, i maghi: gli artisti circensi possono assomigliare al corteo di una festa di Carnevale che viaggia in città durante il periodo dell’anno a cavallo tra l’inverno e la primavera. Ma noto ancor più somiglianza, a mio avviso, con quella Mascherata Rituale che è alla base stessa del Carnevale.

Il Carnevale è infatti un’evoluzione tardiva, dal punto di vista storico, che prende piede in Italia dalle culture cittadine del medioevo. A sua volta ne possiamo trovare le origini nelle Mascherate presenti in molte culture continentali, ovvero riti in cui i partecipanti indossavano maschere e costumi e poi andavano in giro. Carnevale, Bruscello, Sega la Vecchia, Maggio: sono tutte forme di teatro popolare (o simili) che facevano il giro delle campagne e dei paesi, che permettevano l’incontro sociale nei periodi più freddi e bui dell’anno. Durante il corteo si faceva il “giro di questua”, ovvero si andava di porta in porta (o di piazza in piazza) a cercare donazioni e offerte, più o meno libere. L’obiettivo del giro di questua era proprio quello di finanziare le attività sociali del gruppo di figuranti durante l’anno: in cambio della donazione veniva effettuata la rappresentazione scenica (una forma di teatro popolare, in alcuni casi; delle rappresentazioni artistiche più spettacolari e straordinarie, in altri casi) fatte dalle persone del popolo, che assumevano altri ruoli grazie a qualche forma di maschera temporanea.

Il circo itinerante mi fa pensare alla mascherata rituale: un giro di questua fatto da artisti sempre più specializzati, che offre esperienze stra-ordinarie nei luoghi in cui si ferma. All’interno del suo “spazio”, che non è solo lo spazio scenico sotto il tendone, ma anche la zona occupata dalle carovane nomadi e da tutto ciò che gira attorno al circo, c’è un’umanità fatta di artisti, performer, maschere con personaggi burleschi. E poi, storicamente, c’è sempre stata la presenza considerata “aliena” all’interno degli spettacoli circensi: altre forme di umanità, stralunate e attraenti allo stesso tempo, che provocavano repulsione e fascinazione da parte del pubblico.

Come un Carnevale itinerante e permanente, che mette in scena diverse forme di umanità, in manifestazioni ludiche che possono diventare anche selvagge e violente, ma sempre e comunque fuori dall’ordinario, per mostrare una distanza con la quotidianità vissuta dal pubblico. E al circo si va per cercare incanto e divertimento: soprattutto se si è bambini, quando si è più facili all’incanto.

Il Circo come Tempo e come Spazio

Il Carnevale è una festa particolare: quando lo pensiamo, innanzitutto definiamo un periodo dell’anno. Non è un giorno specifico, né fisso: è un pezzo del calendario annuale, durante il quale noi diciamo “questo è il periodo di Carnevale”.

L’orizzonte temporale in cui si inserisce il Carnevale può essere lungo o breve, perché dipende dal periodo successivo: ovvero la Quaresima, quaranta giorni di penitenza (una quarantena) che ci accompagna fino a Pasqua. Come il Carnevale è caotico, festoso ed eccessivo, la Quaresima è frugale, solitaria, pacata. Il Carnevale è caratterizzato dal Martedì Grasso, ovvero la festa che conclude la settimana di giorni grassi, dove si fanno le sfilate in maschera, ma soprattutto dove si mangia “di grasso”; poi arriva il Mercoledì delle Ceneri, con cui invece iniziano i periodi di astinenza e penitenza della Quaresima, nei quali invece si mangia “di magro”.

Il Carnevale viene computato a ritroso: cioè a partire dal suo termine, più che dal suo inizio. Anche questo fa parte della sua particolarità, del suo essere un “mondo a rovescio”; in tutti i sensi, lo consideriamo come un “tempo speciale” che si situa fuori dallo scorrere normale del tempo fisico, che se ne sta sospeso tra inverno e primavera. 

Ma il Carnevale inizia e finisce. Come ogni festa, come ogni gioco, non può essere permanente. Caratterizza una porzione di tempo, fuori da cui si trova la quotidianità. Se il Carnevale durasse tutto l’anno, non ci sarebbero le penitenze della quaresima; non ci sarebbero i periodi di magro dopo quelli di grasso; non ci sarebbe l’ordinario fuori dallo stra-ordinario. 

Una festa, come ogni rito, svolge la sua funzione se ha una fine. E anche se ha uno spazio definito da occupare, il luogo in cui si tiene. Il teatro si può fare anche fuori dall’edificio che ha lo stesso nome, ma ha pur sempre bisogno di una porzione di spazio adibito al palcoscenico, dove avviene la rappresentazione, e una porzione dedicata alla platea, dove sta il pubblico. Anche in assenza di barriere fisiche, i partecipanti al rito teatrale riconoscono lo spazio dove deve stare il pubblico e quello dove devono stare gli attori. Alla stessa maniera, la festa ha bisogno di spazi, e i partecipanti sanno dove deve stare chi fa parte dei festeggiamenti. La festa abita il luogo che occupa, per quel periodo di tempo, insieme alle persone che “fanno” la festa. 

Il circo, inteso come Carnevale, occupa uno spazio fisico per un certo periodo di tempo. Invade la quotidianità dell’ambiente in cui si ferma, con i suoi spettacoli, la sua alterità, la sua stra-ordinarietà, e permette agli abitanti dei dintorni di approfittare del suo intrattenimento, della ritualità della sua mascherata. Porta la festa in quel posto, e chi fa parte del pubblico riconosce che quello è un ambiente festivo, dove sono permesse cose che nell’ambiente ordinario non ci aspettiamo.

Ma dopo un certo periodo di tempo, il circo se ne va da quel luogo, a portare il Carnevale da un’altra parte. Perché se fosse permanente, sia dal punto di vista spaziale che temporale, verrebbe meno la sua stra-ordinarietà. L’esperienza del campo e della vita del circo, nella sua essenza, non può che essere nomade, per essere un Carnevale itinerante (d’altronde, il parco giochi viaggiante si chiama in inglese traveling carnival). Se non lo fosse, diventerebbe un parco giochi fisso, parte di un’industria dell’intrattenimento in cui svanisce l’effetto della mascherata rituale. 

Disneyland e i parchi di divertimento nello stesso stile, in questo senso, non sono paragonabili a un circo, ma rappresentano l’anti-Carnevale per eccellenza: sono dei non-luoghi dove si fa festa tutto l’anno. E quindi, a conti fatti, non si fa festa mai.

Il Circo come Festa viaggiante

Quando si fa festa non si lavora, lo sappiamo tutti. Il tempo del festivo si oppone al tempo del lavoro. La vita quotidiana ci porta a produrre, a svolgere dei compiti in maniera costante, con certi ritmi che scandiscono il “motore” di una società, intesa come macchina funzionante e performante. Durante i giorni di lavoro svolgiamo i nostri mestieri, andiamo a scuola, facciamo ciò che dobbiamo fare per mandare avanti la nostra vita, la nostra famiglia, la nostra società, il nostro modo di vedere il mondo.

Ma quando è festa, smettiamo di lavorare. Il tempo della festa viene considerato come “sprecato”, “perduto” perché non utilizzato alla produzione. Ma al tempo stesso è il periodo in cui si gode pienamente del frutto di quel lavoro, come compimento e ricompensa degli sforzi fatti durante il tempo ordinario.

La festa è stra-ordinaria, esce dai comportamenti ordinari, ma non sarebbe pensabile senza la compresenza di una dimensione quotidiana che ammette ciò che è “diverso da sé”. La festa provoca caos, disordine, confusione: ma lo fa allo scopo di rigenerare la società, perché permette di vedere l’ordine da fuori, apprezzare e validare l’ordinario. 

“Quando si dice non già che “è” festa, bensì che “si fa” festa, il nostro comune parlare esprime una dicotomia qualificante a livello antropologico-storico, ma indica anche una possibilità obiettivamente creativa, capace di collegare una circostante contingente a un sistema di dominio del tempo che il gruppo sa di poter gestire. […] Ci si diverte per “ammazzare il tempo” ma nella festa, al contrario, il tempo viene sacrificato ritualmente per essere rigenerato, per tornare giovane.” (Franco Cardini – “I Giorni del Sacro. I riti e le feste del calendario dall’antichità a oggi”, UTET 2016)

Il circo sembra portare in sé questi aspetti di cui ho parlato finora: una festa delimitata in un luogo, che affascina il pubblico per la sua distanza dall’ordinario. Provoca caos, disordine, confusione: si svolge in maniera ciclica, perché se ne va per tornare, come fanno le feste del calendario annuale. E ha un obiettivo ludico, per far divertire il pubblico e interrompere il tempo del lavoro, sacrificando ritualmente il tempo per tornare giovane, con gli occhi incantati dei bambini che osservano gli acrobati e i giocolieri.

Proprio come i partecipanti a una festa, che si sentono a loro volta “in festa”: perché vivono in una realtà psichica diversa, quasi alterata, una condizione che fa sentire la persona prima di tutto “fuori dall’ordinario”, indossando simbolicamente una maschera; alla stessa maniera chi partecipa al circo si apre nei confronti dello stra-ordinario, avverte di trovarsi in una condizione di sospensione della realtà (intesa come quotidianità).

Riflessioni finali

Il Circo come Carnevale, quindi. Una festa viaggiante che occupa uno spazio e un tempo, e che porta il suo caos creativo e incontrollato in una situazione ordinaria. E soprattutto il Circo come comunità, perché la differenza principale tra l’artista di strada e il Traveling Carnival è proprio la presenza del gruppo sociale di persone che si muovono insieme.

Il Circo non è una semplice somma di artisti. Anche se i suoi membri possono variare e non essere mai fissi, è la comunità nel suo insieme che viaggia, e rende possibile la continuità di questa festa, cambiando tempo e spazio. Se non ci fosse il gruppo, non ci sarebbe festa.

“La Festa rimane un modo tutto umano di piegare il vissuto attribuendogli valori diversi dal resto del fluire quotidiano; la festa si fa in un luogo e ritagliando una porzione del tempo di una pluralità di soggetti: si può fare festa da soli?” (Fabio Mugnaini – “Al tempo delle feste. Etnografie del festivo in Toscana”, Pacini editore 2023)

Non sono soltanto gli artisti del Circo a indossare la maschera: anche gli spettatori fanno la loro parte, nella Mascherata Rituale, perché sono consapevoli di essere entrati a far parte di un frammento di Spazio e di Tempo situati fuori dall’ordinario e partecipano al grande gioco del mondo (e del teatro).

Indossare una maschera, tuttavia, è come fare una festa: la indossiamo per poi togliercela. Se ce l’hai sempre addosso, rimani Arlecchino per sempre. Per far sì che tutti possano godere del Carnevale, c’è bisogno che siano tutti mascherati, nel tempo e nello spazio, come una comunità che partecipa al rito condiviso. 

E allora la festa è tale fintanto che tutti partecipano e tutti si mascherano, anche chi non è sul palco; tutti fanno parte del tempo della festa, tutti vanno a “fare festa” e si mettono la maschera del pubblico partecipante. E in questa maniera, dal Circo al Carnevale, ci ricordiamo chi siamo.

“Come il carro navale dell’antica nave di Iside, la Nave dei Folli: perché nulla come il carnevale fa capire agli uomini, sotto qualsiasi cielo di questo povero pianeta pieno di guai, di essere tutti sulla stessa barca.” (Giovanni Kezich – “Carnevale. La festa del mondo”, Laterza 2019)

(le foto dell’articolo sono tratte dal Festival Cirk Fantastik ©Camilla Poli)

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