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Valdichiana Arcobaleno – Intervista a Martina Amadori

Valdichiana Arcobaleno – Intervista a Martina Amadori

Martina Amadori usa i pronomi she/her, ha diciassette anni, fa teatro, suona pianoforte e ukulele e le piace cantare. In futuro vorrebbe girare il mondo per capire dove trasferirsi, perché sogna di andare a vivere all’estero. Soprattutto, legge narrativa non di genere.

Ormai ho svelato che mi piacerebbe iniziare le interviste di Valdichiana Arcobaleno con un pezzo narrato che si rifaccia al genere narrativo preferito dalla persona intervistata; ma la narrativa non di genere proprio non la so scrivere. Ho fatto anche ricerche online prima di mettermi a battere sulla tastiera: ci sono stilemi da prendere? A quanto pare no. Dopotutto la divisione in generi è una questione di etichette, di termini dati ai libri, spesso per questioni di marketing: il cuore di un libro non è determinato da queste cose, no? Ma sto divagando, questo è un discorso per un’altra sede… o forse no.

Martina Amadori si dice queer, che nel panorama lgbtqia+ è l’equivalente di “narrativa” in letteratura: un termine che può comprendere le altre etichette. Eppure le etichette che le persone usano per descriversi non sono una questione di marketing, anzi spesso hanno una funzione identitaria importante. Noi però siamo qui per ascoltare la storia di Martina e quindi:

Queer ha tantissimi significati diversi, a seconda del contesto e di chi la usa. Cosa vuol dire per Martina Amadori?

“Mi piaceva un termine generico, perché non voglio dovermi per forza definire. In più prima era usata come uno slur, un insulto, e la comunità lgbtqia+ se ne è riappropriata: queste cose mi piacciono sempre molto. Insomma è un modo di dire che non appartengo alla “norma”, ma senza bisogno di specificare ulteriormente. Ero indecisa sulle etichette, ne parlavo con una mia amica e lei mi ha fatto notare che se non ne trovavo una che mi rappresentasse a pieno non dovevo per forza sceglierne una, quindi uso queer. Però uso anche l’etichetta demisessuale1, perché mi ci sono ritrovata. Io non sapevo assolutamente cosa fosse, l’ho scoperto da non mi ricordo nemmeno quale serie tv o… anzi, da un libro che ho letto online. L’aveva scritto qualcuno della mia età e c’era un personaggio demisessuale: quando l’ho incontrato ho detto “Io sono così”. Quindi ho adottato anche questa etichetta.”

La demisessualità è ancora piuttosto sconosciuta, come tutto lo spettro dell’asessualità. Però ho letto molte testimonianze di persone che già da prima di scoprire l’esistenza di questo orientamento sentivano un contrasto con le aspettative sociali su come “si dovrebbe essere”. Hai vissuto anche tu una cosa del genere?

“Credevo che il mio modo di sentirmi fosse legato all’età: “Sono piccola e per questo mi sento così”, mi dicevo. Però poi trovando l’etichetta, vedendo che ci sono persone che si definiscono così ho capito che non era l’età, non era una fase.”

Una delle bandiere esistenti per l'orgoglio queer, nove strisce orizzontali dei seguenti colori: nero, celeste chiaro, celeste, verde, bianco, giallo, rosa, rosa chiaro, nero.
Una delle bandiere dell’orgoglio queer

La demisessualità, proprio perché è poco conosciuta, spesso è fraintesa. Come hanno reagito le persone quando hanno appreso dell’orientamento di Martina Amadori?

“Ho avuto un sacco di fortuna, facendo coming out, però sono sempre andata molto cauta: non è che lo sappia tanta gente ancora. Però appunto non ho subito discriminazioni né in famiglia né tra amici. Magari da qualche amico un po’ più chiuso mentalmente mi è capitato di ricevere attacchi personali durante una discussione, però… diciamo che erano amici tra virgolette. Niente di serio.

Poi io sono una persona fortunata, come ti dicevo non mi piace dovermi definire troppo e ho la fortuna di non averne bisogno, quindi decido di non usare etichette più specifiche come bisessuale o pansessuale, che magari sarebbero quelle più vicine a me. Ma è un privilegio che ho perché sono in un ambiente sicuro; ci sono altre persone che hanno bisogno di un’etichetta per non scomparire o per mostrare un fronte unito davanti a chi le discrimina.”

Hai usato il termine privilegio e hai detto delle cose che mi fanno pensare che tu abbia approfondito le questioni legate alla comunità lgbtqia+. Quando è come è successo?

“Con i social, sicuramente, seguendo personaggi pubblici della comunità: loro facevano sensibilizzazione e allora ho iniziato a informarmi di più. Questo anche prima di rendermi conto di essere queer, già mi appassionavo tanto a questi temi.”

Ti capita di parlarne con le tue amicizie o in famiglia?

“Abbastanza spesso. La mia famiglia per esempio è molto tranquilla su tutte queste cose, però su alcune è un po’ disinformata. È un’altra generazione, e anche se non è una scusante l’accesso a certe informazioni è diverso. Nel mio gruppo di amici succede spesso, anche se la maggior parte delle volte parte da una piccola provocazione e allora io e le mie amiche partiamo all’attacco. Però con tranquillità, cercando di migliorare la situazione, non per litigare. Poi da quando ho detto alle mie amiche di essere queer, se abbiamo queste discussioni hanno un occhio di riguardo verso di me, sono più combattive perché ci sono io.”

Quindi con le tue amiche avete la stessa visione su questi temi: ognuna di voi si è informata autonomamente e poi vi siete trovate oppure c’è stata una persona che ha iniziato a informarsi e si è trascinata dietro le altre?

“Avevamo già ideali simili, poi è stata una crescita insieme. Più o meno nel periodo in cui io ho iniziato a mettere qualche post nelle storie di Instagram su questi argomenti, altre persone hanno trovato il coraggio di fare altrettanto, persone che di solito non hanno un buon rapporto coi social. Abbiamo iniziato a informarci di più ma non è stata qualcuna che trascinava qualcun’altra.”

Visto che mi sembri piuttosto attiva e informata su questi temi sociali e vista la tua età devo farti una domanda che sembra slegata da tutto il discorso: parliamo di crisi ambientale2. In tv, sui social impera una narrazione per cui la tua generazione è quella che chiede molto in relazione all’ambiente ma poi non fa niente per cambiare. Non pretendo che Martina Amadori sia un’attivista per il clima, vorrei solo sapere come vivi questa situazione: il tuo sguardo sul futuro.

“Quei discorsi secondo cui noi nel concreto non facciamo niente mi fanno arrabbiare. Per dire, nel 2019 a Roma ci fu una manifestazione con un’affluenza incredibile e tutti dicevano “Ci sono andati perché gli hanno firmato il permesso di uscire da scuola, è per saltare una giornata”: sicuramente più gente è venuta per quello, ma non è assolutamente il motivo per cui la maggior parte di noi era lì.

Io ho anche la fortuna che mia madre mi ha sempre portato a questo tipo di manifestazioni da quando ero piccola, stiamo attentissimi in casa. Conosco tanta gente della mia età che in qualche modo, anche in maniera piccola, cerca di fare qualcosa. Però siamo un po’ rassegnati perché ti impegni, cerchi delle soluzioni più ecologiche nella tua vita che costano di più, vai alle manifestazioni… e poi firmano accordi su accordi e non succede niente. Tu nel tuo piccolo continui a fare le tue cose, però dovrebbe esserci un cambiamento radicale da governi, industrie e multinazionali. Io ci provo ma ci si scoraggia un po’ a vedere che non c’è un minimo cambiamento dall’alto.”

Prima di salutarci vuoi aggiungere qualcosa? Che sia in relazione a temi queer o meno.

“Parlando con me potrebbe sembrare che la vita di una persona della comunità lgbtqia+ sia abbastanza facile, perché a me va veramente di lusso. Mi va di lusso perché all’occhio esterno io posso sembrare etero. In più la mia identità di genere non differisce da quella che mi è stata assegnata alla nascita, mentre immagino che per le persone che vivono una situazione diversa sia particolarmente complicato, certamente non posso parlare per loro.

Tra l’altro anche nell’idea di chi mi vuole bene io posso ancora finire con la famiglia del mulino bianco: mia madre ancora si aspetta che io possa darle dei nipotini, ma se dovessi restare in Italia e avere la mia relazione della vita con una donna non potrei farlo. Oppure nella testa delle persone io avrò dei figli biologici con un uomo e ancora in un certo senso ci sperano, anche se mi vogliono bene e rispettano il mio orientamento. Però ci sono persone che hanno una vita molto più difficile della mia. Io non posso nemmeno parlare per le persone gay o lesbiche, perché non c’è modo di sviarla e secondo me subiscono molte più discriminazioni di quelle che potrei subire io3.”

Etichette, termini e… generi narrativi sono temi complessi che non dovevamo (o potevamo) sviscerare qui. Martina Amadori però mi ha ricordato che le cose possono migliorare e lo stanno facendo: idee e voci che un tempo non avevano spazio adesso lo stanno conquistando. Non è facile, ma è possibile. L’unica certezza immutabile è che la narrativa non di genere non è il mio forte.

Valdichiana Arcobaleno torna a novembre con un’altra intervista. Se tu che stai leggendo sei una persona lgbtqia+ e vuoi raccontarci la tua esperienza, scrivici a redazione@lavaldichiana.it. Creiamo un mondo in cui tutte le persone possono esistere.

Note

1Demisessualità: orientamento di chi prova attrazione sessuale nei confronti di una persona solo dopo che si è sviluppata una profonda connessione emotiva. C’è un video di Specchio in cui ne parliamo più approfonditamente.

2In realtà un legame c’è, perché ci sono persone queer anche nei pesi più colpiti dagli effetti della crisi; inoltre statisticamente le persone queer in qualunque parte del mondo ne subiscono di più gli effetti negativi, in termini di povertà e difficoltà.

3Sebbene le persone attratte da più generi possano “passare per etero” in certi contesti, ed evitare così un certo tipo di discriminazione, al tempo stesso i loro orientamenti e le loro attrazioni subiscono costantemente un’invisibilizzazione che è un’altra forma di marginalizzazione. La questione, neanche a dirlo, è complessa e sfaccettata.

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