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Racconti di veglia: le Streghe della Valdichiana

Racconti di veglia: le Streghe della Valdichiana

(articolo a cura di Igor Abbas, Massimiliano Minotti e Alessio Banini)

“Se te pijo se te chiappo il tuo cuore te lo strappo!”

Seppure in chiave ironica, la filastrocca della bambina ne “Il Marchese del Grillo” racchiude perfettamente le paure derivanti dai poteri delle streghe, una delle figure più caratteristiche e onnipresenti delle storie popolari.

Da piccoli i nostri nonni ci mettevano in guardia da diversi pericoli o situazioni non convenzionali, tra cui poteva esserci la “strega” del paese. Si trattava di personaggi che vivevano spesso da soli, isolati dalle comunità rurali, che occupavano il loro tempo dando particolari aiuti nella vita quotidiana, in cambio di piccole offerte.  Spesso tali aiuti avevano uno scopo benevolo (guarire da malattie, conquistare l’amore, predire il futuro), ma le chiacchiere popolari portavano a pensare che chi avesse capacità particolari potesse usarle anche per fare del male.

Ma chi erano queste persone, queste “streghe” ricorrenti anche nelle storie popolari della Valdichiana? Ci raccontano alcuni testimoni:

“Ricordo la pora Ortensia, faceva le carte, non sapeva nè leggere nè scrivere, però quelle le leggeva bene, nessuno ha mai saputo dove avesse imparato, ma come ci chiappava, era talmente brava che faceva paura! Addirittura in punto morte nessuno volle toccarla, temendo che il potere potesse trovare un nuovo ospite e causare quindi terrore e solitudine, fatto sta che quando morì sparirono anche le carte.”

Invece Ginetto racconta:

“Ricordo un giorno a un funerale, c’erano quattro vecchie bruttissime, con lo sguardo del Diavolo, mi fissavano e ridevano, sembrava che le vedessi solo io, fatto sta che la notte continuavo a sentire sghignazzare e delle ombre danzavano alla luce del camino acceso, potevo riconoscere le sagome di quelle stregacce, che mi tormentavano tutta la notte.”

Il racconto di Letizia:

“Si rivolgevano a loro per cercare di attirare a sé l’amata, venivano chieste cose strane per controllare la gente, ma come si fa a voler campare così?”

C’erano anche molte voci fuori dal coro :

“Non dite sciornate, semplicemente conoscevano le erbe e rimedi antichi e curavano mal di denti o di testa, parlavano con le persone e davano loro coraggio, per un uovo o un pezzo di pane e formaggio”.

Di racconti di questo tipo ce ne sono tantissimi e ognuno di noi si è trovato davanti alla presunta “casa della strega” oppure alla fantomatica persona accusata di essere una strega, che spesso non è una persona così cattiva come viene descritta…

Testimonianze e Diffusione

L’origine del termine “Strega” viene fatta tendenzialmente derivare dal latino “striga” e “stryx”, a significare “strige, barbagianni, uccello notturno”, ma col passare del tempo avrebbe assunto il più ampio significato di “esperta di magia e incantesimi”. Ogni strega della tradizione è accompagnata da qualche strano animale, il famiglio, con caratteri diabolici, che fungerebbe da consigliere della propria padrona. Tipici famigli sono il gatto, il gufo, il corvo, la civetta, il topo e il rospo.

Solitamente la figura della strega è associata ad una donna vecchia e brutta, con lo sguardo malevolo, in cui la bruttezza estetica è elemento distintivo della bruttezza interiore e della loro malvagità e crudeltà. Allo stesso tempo, però, alcune streghe possono assumere la forma di bellissime donne che nei Sabba si accoppiavano selvaggiamente con il demonio evocato nel rito.

Data la sua vastissima diffusione, possiamo trovare tanti termini simili e figure che possono essere assimilate a quella della strega. Nel latino medievale il termine utilizzato era Lamia, mentre nelle varie regioni d’Italia il sostantivo che indica la strega varia a seconda della località. Possiamo perciò trovare la Masca (Piemonte) la Stria (Nord Italia), la Magara (Calabria e Basilicata), la Ianara (Campania) e così via. In Valdichiana e dintorni, a volte, è possibile che la figura della Marroca sia assimilata a quella della strega delle paludi.

La figura della strega può essere ricondotta a radici antichissime, sia nella cultura greca e romana che nella Bibbia (la strega di Endor). Particolare diffusione nel folclore popolare è poi dovuta al Medievo, con la caccia alle streghe e la persecuzione di comunità considerate eretiche o dedite al culto del Demonio. Si stima che in Germania, tra il XVI e XVII secolo, vennero condannate al rogo circa centomila donne, con l’accusa di stregoneria; si tratta quindi di credenze popolari che hanno avuto un notevole impatto nella storia, soprattutto nel periodo dell’Inquisizione e della lotta contro la magia diabolica.

L’idea dell’esistenza delle streghe venne messa in discussione in epoca illuminista, grazie allo studioso Girolamo Tartarotti, che giudicò infondate le teorie sulla stregoneria, basate principalmente sulla superstizione e sulla mancata comprensione di stati psicosomatici di epilessia o allucinazione. Fu quindi la pubblicazione del suo “Del Congresso notturno delle Lammie” nel 1749 a ridefinire lo stereotipo delle streghe e a relegarle al folclore locale.

Caratteristiche ed Analisi

Nonostante i diversi termini e le innumerevoli varianti locali, le streghe tendono a mostrare dei tratti distintivi. Sono dotate di poteri soprannaturali, dedite alla pratica della magia; si tratta di donne, nella stragrande maggioranza dei casi (anche se esiste la controparte maschile dello stregone o dello strigo), che utilizzano i loro poteri per alterare la quotidianità, spesso con intenti malefici. Tali poteri sarebbero dovuti alla vicinanza con entità maligne o con il Demonio in persona, a cui si sarebbero carnalmente unite durante un Sabba, al fine di stipulare un patto per creare fenomeni capaci di andare oltre l’ordine della natura o delle leggi della fisica.

Tra le caratteristiche principali che si riferiscono allo stereotipo della strega, oltre alla presenza di poteri magici di varia natura, c’è anche la possibilità di trasformarsi in animale e quella di volare a cavallo di una scopa, che è probabilmente la derivazione dell’antica figura della Strix associata agli uccelli rapaci notturni. Queste abilità magiche, oltre a essere spaventose, servono spesso alle streghe per applicare le loro fatture e le loro stregonerie per danneggiare o turbare la serenità degli altri.

La strega, dunque, è stata spesso strettamente associata al peccato e al male. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una rivalutazione della figura, considerata una custode della sopravvivenza della tradizione misterica, soprattutto nelle campagne, di culti e pratiche di guarigione, rituali di fertilità, conoscenze dell’uso delle erbe, comunicazione con gli spiriti e viaggi extracorporei. Queste caratteristiche, così simile a quelle dello sciamanesimo di altre culture, sono state diffuse soprattutto con l’influenza del neopaganesimo e del movimento wicca, con l’intento di attribuire degli aspetti positivi alla tradizione delle streghe.

È proprio l’ambivalenza morale della figura a caratterizzare la lunga letteratura in materia: da sempre le streghe si dividono in buone e cattive, capaci di compiere fatture e maledizioni, anche con il semplice sguardo, il malocchio. Nella credenza popolare, se una strega ti aveva lanciato una maledizione, solo un’altra strega poteva salvarti. A Chiusi soltanto l’intervento di una liberatrice, chiamata “Streca”, poteva sciogliere il “Nodo”, feticcio spesso ritrovato in posti insoliti come il cuscino o il materasso, che si diceva creato dal potere della maledizione. La distruzione del feticcio portava all’annullamento del maleficio.

La streca chianina resta molto ancorata alla tradizione contadina, infatti per togliere sortilegi e malocchio usava il fuoco, l’acqua e l’olio, elementi tipici della vita di campagna. Con il fuoco venivano bruciati, normalmente ai crocevia, nodi e feticci trovati nell’abitazione della vittima, mentre con l’olio e l’acqua e una preghiera insegnata la notte di Natale si toglieva il malocchio.

A tal proposito, merita ulteriore spazio il potere più caratteristico delle streghe, ovvero il malocchio (chiamato anche “occhiatura”). Secondo le antiche tradizioni popolari, il malocchio è il manifestarsi di mal di testa diffuso e persistente e, nei casi più gravi, nausea e senso di stordimento, fino a impossibilitare la persona allo svolgimento di ogni attività. Si chiama così perché è generato da sguardi o commenti dettati da invidia: la vittima è invidiata per le sue proprietà, il suo lavoro, i suoi figli e, in genere, qualsiasi cosa o situazione, capace di scatenare desiderio da parte di una o più persone.

Esistono varie versioni relative alla pratica per combattere il malocchio, che sono state tramandate di generazione in generazione. Come ben raccontato da Ernesto de Martino in “Sud e Magia”, la donazione della formula contro il malocchio poteva avvenire solo una volta l’anno, la notte di Natale. Il rito, tramandato oralmente nella cultura popolare, può essere così riassunto.

La guaritrice prende per prima cosa un piatto pieno di acqua, poi traccia per tre volte il Segno della Croce, toccando il “paziente” con la punta del suo pollice, indice e medio della mano destra, nel seguente ordine: prima sulla fronte, poi sul petto, poi sulla spalla sinistra, e poi sulla spalla destra, dopodichè prende un cucchiaio di olio vi intinge il pollice per prendere poche gocce dello stesso da gettare poi nell’acqua, e a quel punto a secondo di come le macchie di olio si comportano sull’acqua stabilisce se c’è malocchio o meno.
Qualora ci fosse il malocchio si pulisce il pollice unto di olio e ritraccia per tre volte il Segno della Croce, toccando il “paziente” con la punta del suo pollice, indice e medio della mano destra, nel seguente ordine: prima sulla fronte, poi sul petto, poi sulla spalla sinistra, e poi sulla spalla destra. Nel contempo pronuncia a fil di voce, tale da risultare incomprensibile alla persona vicina (la formula è segreta), le seguenti parole: “In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
Fatto ciò, viene ripetuto il Segno della Croce sulla fronte del “paziente”, con il pollice della mano destra e sempre recitando a bassa voce: “In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” e, in seguito: “Io ti libero dalla testa ai piedi, chi ti ha fatto del male deve farti del bene. Occhio, contr’occhio, mettiglielo all’occhio. Schiatta il diavolo e crepa l’occhio”.
Si continua, ripetendo il Segno della Croce sul capo del “paziente”, con il pollice della mano destra e recitando a bassa voce: “In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” e ripetendo nuovamente la formula: “Io ti libero dalla testa ai piedi, chi ti ha fatto del male deve farti del bene. Occhio, contr’occhio, mettiglielo all’occhio. Schiatta il diavolo e crepa l’occhio”.
Infine, ripetendo il Segno della Croce sulla nuca del “paziente”, con il pollice della mano destra e recitando a bassa voce: “In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” e ripetendo nuovamente la formula: “Io ti libero dalla testa ai piedi, chi ti ha fatto del male deve farti del bene. Occhio, contr’occhio, mettiglielo all’occhio. Schiatta il diavolo e crepa l’occhio”.
A questo punto il rito è terminato e il “paziente”, finalmente è “libero” dall’invidia e di conseguenza, guarito dal “malocchio”. Quindi, ringrazia la guaritrice. Per manifestare tale gratitudine, il “paziente” offre qualche cosa che trova in casa: qualche uovo, qualche salsiccia sott’olio, qualche verdura di stagione… mai denaro o oggetti preziosi!

Il malocchio non è l’unica caratteristica principale delle streghe, ma anche il pericolo nei confronti dei bambini. Sono infatti i neonati e le creature più piccole a costituire i bersagli ricorrenti nelle credenze popolari sulle streghe: vittime di incantesimi malefici, rapimenti o addirittura morte. Questo elemento è molto antico, infatti ricorre fin dalla cultura romana, in cui la Strix era assimilata agli uccelli rapaci notturni, considerata colpevole degli incidenti notturni che potevano capitare agli infanti in culla. In questo senso, le streghe potrebbero essere definite come il tentativo di spiegare l’alto tasso di mortalità infantile in epoca antica: quando i neonati morivano per asfissia notturna, si incolpava queste malefiche creature capaci di trasformarsi in uccelli notturni e portarli via dalla culla.

Influenze nella cultura Pop

Impossibile citare tutte le influenze che le streghe hanno avuto nella cultura pop: queste figure hanno affascinato innumerevoli storie, film e creazioni artistiche. Dalla strega del “Mago di Oz” alla Matrigna di “Biancaneve”, le fiabe moderne sono spesso accomunate dalla presenza di streghe. Ci limitiamo quindi a citare quelle opere in cui le streghe sono interpretare da figure positive, da ragazzine più vicine alla tradizione neopagana della wicca, che può essere inaugurata da cartoni animati giapponesi come “Bia la sfida della Magia” oppure “Ransie la strega”.

Questa fortunata tradizione di giovani streghe dai tratti positivi è stata poi ripresa dalle “Winx” e dalle “Witches” della Disney, eredi di film e di serie televisive in cui si insiste sulla loro natura positiva e affascinante, come “Giovani Streghe”, “Le streghe di EastWick”, “Sabrina la Strega”, la Willow di “Buffy l’Ammazzavampiri” e le protagoniste di “Streghe/Charmed”.

Anche le influenze musicali sono ovviamente numerose, da “La Strega” di Branduardi a “Le Streghe” di Lando Fiorini, da “The Witches Promise” dei Jethro Tull a “La Strega” di Roberto Vecchioni. Vogliamo però chiudere con la citazione da cui abbiamo iniziato questa rapida cavalcata lungo le storie popolari delle streghe, con la divertente bambina del “Marchese del Grillo”.


Disclaimer: “Racconti di veglia” è una rubrica che vuole stimolare l’interesse sul folclore locale e sulle storie popolari della Valdichiana, con piccole analisi e collegamenti alla cultura di massa. L’intento è quello di tramandare la memoria orale delle “Veglie” contadine ai tempi della mezzadria, senza tralasciare uno sguardo alle più recenti “leggende urbane” e ai casi misteriosi degni di interesse. Le fonti vengono raccolte principalmente attraverso testimonianze dirette, memorie dei collaboratori, interviste e testi locali.

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