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Fare poesia con le immagini. La urban art di Exit Enter a Civitella in Valdichiana.

Fare poesia con le immagini. La urban art di Exit Enter a Civitella in Valdichiana.

Il progetto di riqualificazione dei borghi di Civitella, Pieve al Toppo, Badia al Pino e Tegoleto, voluto dalla giunta comunale, è stato affidato al famoso street-artist Exit Enter, che ha dipinto su bacheche dismesse scene della storia dei quattro paesi chianini – Intervista.

Exit Enter, artista di strada che ha fatto dei vicoli di Firenze la sua base artistica, ve lo abbiamo già presentato in una intervista approfondita. La sua presenza artistica sui muri e sulle cabine dell’Enel di Arezzo e Siena e il suo Omino racconta storie, ci avevano spinto a chiederci chi fosse questo artista misterioso. I destini di Exit e della Valdichiana si sono intrecciati ancora, grazie al progetto di riqualificazione promosso dalla giunta comunale di Civitella.

La vice sindaca Nassini Valeria insieme all’assessore Capacci Ivano hanno trovato il modo di utilizzare quattro vecchie bacheche dismesse in acciaio arrugginito, disposte tra Civitella e le frazioni limitrofe. «Trovandosi per strada» ci ha detto Nassini «abbiamo pensato subito alla street art. Avevamo dubbi sull’impatto e sulla risposta dei cittadini a un progetto così inusuale in paesini come i nostri. Tuttavia, Matteo Bidini dell’associazione “A testa alta”, alla quale ci siamo rivolti per la cura del progetto, ci ha convinti con un’idea che partisse dallo studio del territorio e della storia locale: non a caso in ogni bacheca è rappresentato un tema che si ricollega al paese che la ospita».

Noi de La Valdichiana siamo riusciti a intervistare l’autore delle quattro opere: Exit Enter.

Come è nato il progetto?

“Avevo già fatto un lavoro simile a Tregozzano e qualcuno dal Comune di Civitella ha pensato di sfruttare delle bacheche dismesse per dare spazio a un progetto artistico. Insieme a Matteo Bidini abbiamo voluto creare qualcosa che parlasse del territorio. A me piacciono molto le storie e leggende, scrivere poesie con le immagini. Lì ce ne sono un sacco di storie e ne abbiamo trovata una da rappresentare per ogni paese”.

Ci parli delle quattro installazioni?

“Ogni bacheca è collegata con la vita di personaggi o avvenimenti importanti e a un momento della giornata.

La prima che abbiamo fatto è stata l’installazione di Badia al Pino. È ambientata in pieno giorno con in primo piano un pino secolare e due bambini che giocano sotto l’albero e sullo sfondo la skyline del borgo chianino con la badia. Volevamo trovare un punto di contatto tra passato e presente, dal momento che gli abitanti dicono che il posto ha preso il nome dai pini secolari che crescevano nella zona.

Poi ci siamo spostati a Tegoleto dove ho trovato super affascinante la leggenda di Gnicche. Abbiamo letto libri su di lui, abbiamo parlato con la gente del posto, ci siamo fatti un studio approfondito su questo personaggio ed è venuta fuori questa illustrazione dove ho immaginato come potesse essere il profilo del paese a metà dell’800. In cima a una torre ho messo il brigante Gnicche, ubriaco con una bottiglia in mano. La notte ha permesso di legare ancora di più l’ambientazione con il personaggio, con l’inconscio e la follia, con ciò che non si vede e il mistero della vita del bandito. Durante la pittura è arrivato un signore che riconosceva le finestre di camera sua sugli edifici che io avevo creato dalla mia fantasia. È stato molto bello. Le persone che si fermavano a guardare riconoscevano dentro i disegni qualcosa che li legava al loro territorio.

A Pieve al Toppo ho realizzato le Giostre del Toppo nel momento in cui i senesi si ritirano. L’ambientazione è al tramonto, perché ho legato la fine del giorno con le morti in battaglia cioè il termine della vita.

Se la sera è la fine del giorno che si lega alla guerra e alla morte e la notte rappresenta ciò che è celato, a Civitella abbiamo voluto ambientare la scena all’alba: simbolo di rinascita. Il disegno è riferito alla strage a opera dei nazifascisti che trucidarono 244 civili innocenti. E poi c’è l’albero con i germogli in fioritura e sotto un nonno che solleva in alto un bambino per farlo arrivare alle gemme. Anche questo significa rinascita”.

A Civitella già si dice che i germogli dell’albero in fioritura siano tanti quanti i morti nella strage fatta dai nazifascisti…

“Sono tantissimi i germogli. È già nata una leggenda… molto bella”.

C’è stato un disegno che ti ha coinvolto particolarmente?

“Mi è piaciuto un sacco disegnare Gnicche. Ho sperimentato luci e cose nuove. A me piace tantissimo raccontare storie, mi piacciono le novelle e le leggende e gli episodi di questo brigante che ne combinava di tutte, l’arresto causato forse dall’odore dei fegatelli che ha messo in allarme le guardie dal momento che si trattava di un piatto solo per ricchi, mi hanno affascinato da morire. Anche il disegno di Civitella mi ha coinvolto tanto per il discorso della strage. La gente ci raccontava storie che hanno influenzato il risultato finale”.

L’artista che viene influenzato da chi la strada o il luogo lo vive si può pensare come uno dei pilastri della street art?

“Certamente. Più che street art io parlerei di arte urbana perché la street è quando vado senza permesso a fare disegni. Comunque sia il dialogo con la vita della strada è davvero una base imprescindibile. Riuscire ad avere un’interazione con le persone del posto è fondamentale, perché l’opera rimane lì, dove loro vivono, mentre io sono solo di passaggio. A ma piace dialogare così. Anche se a volte può sembrare un ostacolo, perché vorrei essere sempre libro di disegnare quello che voglio, in realtà è importante mediare tra quello che vuoi fare e il luogo dove lo fai”.

Quanto sono importanti questi progetti per l’arte di strada?

“Aiutano non solo gli artisti, ma anche le comunità. Se sono progetti fatti bene, inclusivi e rispettosi, se legano la storia e la cultura del territorio, se viene dato il giusto compenso agli artisti, se si aiuta il paese da un punto turistico, se tutto questo entra a far parte del progetto allora diventano linfa vitale. Si aiuta a valorizzare la storia di un posto attraverso l’arte moderna e magari puoi incuriosire i giovani e fai scattare qualcosa in loro”.

Con le commissioni da parte di privati o enti pubblici non c’è il rischio per te di istituzionalizzarti?

“Per me ci sono due momenti: la street art e l’urban art. Nel primo sono io che decido di andare in strada a fare interventi spontanei, dove posso dire quello che voglio. L’arte urbana viene commissionata certo, ma l’artista non si istituzionalizza se prosegue nel suo percorso, nella ricerca dei suoi linguaggi e delle sue idee. Il fatto che un artista di strada si possa istituzionalizzare non la vedo per forza come una perdita di valore per le cose che fa. Dipende dai progetti che decide di seguire. Se a me commissionassero l’Omino che insegue il cuore a Praga o a Pisa e iniziassi a fare questa cosa ovunque perché mi pagano per quel pezzo, allora lì sto perdendo valore. Però se il lavoro è studiato, segue le caratteristiche culturali del luogo e soprattutto è in linea con le mie idee, anche se sono commissioni non perde valore rispetto alla street pura. Il valore sparisce quando si pensa solo ai soldi”.

Prima di slautarci vorrei sapere come hai passato la quarantena…

Sono stato in campagna con la mia ragazza in una casetta minuscola in mezzo al bosco a dipingere per due mesi e mezzo. È stata una figata! Abbiamo anche organizzato delle aste di beneficenza online.

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