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Chiara & Civica: la storia del Partito Comunista Italiano

Chiara & Civica: la storia del Partito Comunista Italiano

“Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri.”

Giorgio Gaber

STORIA DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO

Quale è la storia di uno dei partiti italiani più importanti? Dopo aver parlato dei partiti storici italiani, del partito fascista e della Democrazia Cristiana, continuiamo con un altro protagonista assoluto del panorama politico italiano nel Novecento: il Partito Comunista Italiano (PCI).

Nel 1991, a 70 anni dalla sua nascita, il vecchio Partito Comunista Italiano cessa di esistere e si trasforma in qualcosa di nuovo. Iniziano a nascere diverse sigle e partiti che provano a mantenere la gloria del passato, tenendo conto dei cambiamenti globali degli ultimi decenni.

Ma come è stato possibile per il PCI passare dal 34% dei voti favorevoli allo scioglimento nel 1991?

LA STORIA DEL PCI DAL 1921 AL 1944

La scissione dal Partito Socialista

Il leader intellettuale del nascente Partito Comunista Italiano fu sicurante Antonio Gramsci, che prima faceva parte del partito socialista. “L’ordine nuovo”, la rivista di cultura socialista che promuoveva gli scritti di Lenin, all’inizio non aveva obiettivi precisi, ma con il tempo di fronte al nuovo carattere delle lotte operaie affrontò un problema che nasceva dalle rivolte russe. Gli operai italiani, seguendo l’esempio della Russia, potevano infatti cominciare a organizzarsi in maniera distinta dai partiti al governo. Infatti con la rivoluzione russa cambiano anche le sorti all’interno del partito socialista, tutti parlano di rivoluzione, tutti aspirano a farla.

Agli inizi del Novecento il Partito Socialista Italiano (PSI) era un organismo composto da più parti: i riformisti di Turati, i massimalisti di Serrati e l’estrema sinistra dell’ordine nuovo di Bordiga. Bordiga era una persona di grande cultura marxista ma scolastica, che interpretò la rivoluzione d’ottobre un po’ alla lettera. Riteneva necessaria una crisi del capitalismo, con o senza guerra.

Alle elezioni del 1919 il PSI ottiene il 32% dei voti diventando il primo partito d’Italia e rimandando all’opposizione Giolitti e la Democrazia Cristiana. Gli industriali si oppongono e gli operai si mobilitano, la FIOM ordina di occupare le fabbriche. Il sogno rivoluzionario dura poco e il movimento operaio rimane all’interno delle fabbriche. 

Il PSI, pure dichiarandosi rivoluzionario, non considera i problemi di una strategia rivoluzionaria. All’inizio del mese di settembre avvenne una riunione a Milano tra i dirigenti del partito socialista e i sindacalisti del movimento italiano per i lavoratori, dove il PSI preme per arrivare alla rivoluzione, mentre i sindacalisti si oppongono. La rivoluzione viene messa ai voti e bloccata. L’esperienza dell’occupazione delle fabbriche divide il movimento operaio, la resa dei conti è ormai vicina.

Il 15 gennaio 1921 si apre il 17esimo congresso del PSI a Livorno in ballo c’è l’espulsione dei riformisti, ma il gruppo dirigente si oppone. L’estrema sinistra di Bordiga e Gramsci decide di abbandonare il congresso e di andare a costruire un altro partito.

Il 21 gennaio 1921 nasce ufficialmente il Partito Comunista Italiano con Bordiga come segretario. Il programma rigorosamente leninista si pone l’obiettivo di recuperare la visione originaria; la rivoluzione del marxismo diventerà lo statuto di quello che sarà il PCI sezione internazionale.

Il Partito Comunista Italiano nasce nell’ambito di un’esigenza storica di doppia natura:

  • Quattro anni dopo la rivoluzione d’ottobre, in Russia c’è un partito mondiale comunista che favorisce la nascita di un partito affiliato in ogni nazione
  • In Italia già nel 1918, o comunque successivamente alla Prima Guerra Mondiale, all’interno del Partito Socialista alcuni gruppi e frazioni guardavano all’idea di creare un nuovo partito.

Ma il PCI nasce anche all’interno di una crisi economica, sociale e politica veramente profonda. La società italiana è stata trasformata e l’idea del cambiamento radicale, della rivoluzione sembra avere la meglio. La borghesia è impaurita ed è proprio in questo momento che insieme al PCI nasce l’idea del fascismo; in questa contrapposizione negli anni ’20 fu il Partito Fascista a trionfare.

La lotta contro l’imposizione del potere fascista

Queste fratture fra PSI e PCI favoriscono l’inizio della reazione fascista. Lo squadrismo si scatena violentemente contro il movimento socialista, le camicie nere attaccano tutto ciò che è riconducibile a questi movimenti. Difficilmente la forza pubblica riesce a contrastarle per questo nel 1921 nascono “Gli arditi del popolo” un movimento apartitico per combattere con le armi la violenza fascista. Il Partito Comunista decide di rispondere alla domanda di aiuto degli arditi probabilmente facendo una mossa tattica sbagliata. Il fallimento dello sciopero legalitario dell’agosto 1922 apre la strada a nuove scissioni; ad ottobre i riformisti fondano il PS unitario, favorevoli a un governo di coalizione democratica, ma ormai è troppo tardi, le camicie nere marciano su Roma.

A marzo e aprile dell’anno successivo i comunisti vengono per la maggiore parte espulsi e incarcerati, inizia un periodo di vera crisi per il PCI anche a livello internazionale. Il Comintern (Internazionale Comunista) punta alla riconciliazione (dopo l’espulsione dei riformisti) con il Partito Socialista, ma Bordiga non ne vuole sapere. Il partito diviene sempre più isolato ma dopo un lungo periodo di Gramsci a Mosca, decide di volere riavvicinare il partito all’Internazionale.

Nel maggio del 1924 Gramsci, rientrato in Italia con le elezioni stravinte del Partito Fascista, si ritrova in un clima di ostilità e violenza. Il 30 maggio il deputato Giacomo Matteotti denuncia brogli e irregolarità durate le votazioni, era una delle prime denunce verso l’incostituzionalità del governo che si stava creando. Dieci giorni dopo viene rapito e ucciso da un gruppo di squadristi e le opposizioni decidono di astenersi dai lavori parlamentari in aula. Alla cosiddetta “secessione dell’aventino” aderiscono anche i parlamentari comunisti, ma poco dopo si distaccheranno rientrando in Parlamento. Questo a seguito di una proposta di Gramsci, nella quale sosteneva che la proclamazione dell’aventino come Parlamento per andare contro il vero Parlamento, ormai controllato dai fascisti “il Fascismo avrà anche il potere ma noi abbiamo il popolo italiano”. L’idea di Gramsci fallisce e le opposizioni non riescono a fermare Mussolini.

Nel 1926 i comunisti italiani si riuniscono a Lione, è il terzo congresso del partito, che sancisce l’affermazione del potere di Gramsci e Togliatti. Qui oltre ad avvicinare nuovamente il partito all’Internazionale, il congresso sancisce anche una nuova linea politica che individua nella classe operaia le forze motrici della rivoluzione. Intanto in Unione Sovietica la lotta per il potere incontra il potere bolscevico, un contrasto durissimo che investe anche le potenze europee: bisogna decidere se stare o non stare dalla parte di Stalin.

Gramsci decide di appoggiare la maggioranza, ma scrivendo una lettera in cui si pone contro Trotzkij e nello stesso tempo critica Stalin per la necessità di sgominare l’opposizione con la violenza, distruggendo la loro stessa opera. Togliatti riceve la lettera e dissente contro Gramsci poiché per lui la rottura dell’autorità del gruppo bolscevico era scontata e in quel momento era necessario seguire la strada giusta, che per Togliatti era quella di Stalin. Si apre un conflitto tra Gramsci e Togliatti, che non ha seguito a causa dell’arresto di Gramsci e dell’esilio di Togliatti.

La clandestinità e le lotte popolari

Con tutti i dirigenti in arresto l’unica della segreteria del partito rimane Camilla Ravera che inizia a organizzare il centro clandestino del partito pubblicando un piccolo volantino nel quale annunciava che il partito comunista non si sarebbe sciolto fino a che il popolo non l’avrebbe voluto e che il PCI sarebbe rimasto sempre contro il Fascismo. L’unico partito che non si scioglie ma dichiara guerra al Fascismo è proprio il PCI. 

Nel novembre 1926 nasce il regime fascista e il partito Comunista si immerge completamente nella clandestinità. Dal ’30 al ’33  Togliatti prova a mandare dall’esterno le migliori risorse del PCI per ricomporre il nucleo ma senza riuscirci. Togliatti si allinea quindi alle nuove teorie di Stalin appoggiando la teoria del social-fascismo (social-democrazia). Gramsci si schiera contro questa nuova teoria e per le sue posizioni il suo nome viene eliminato dalle pubblicazioni del partito.

A Mosca nel luglio del 1935 con il VII congresso del Comintern viene inaugurata la tattica dei fronti popolari, che implica un’alleanza fra socialisti e comunisti per combattere il nemico comune rappresentato dal nazifascismo. La nuova linea politica ha immediati riflessi in Spagna dove nel 1936 repubblicani, socialisti e comunisti vincono le elezioni e scoppia una guerra civile sanguinaria tra il governo repubblicano e i militari golpisti di Francisco Franco. L’URSS è l’unica nazione che appoggia la Spagna repubblicana mentre i golpisti sono appoggiati da tutto il regime nazifascista. 

Nel frattempo muore Antonio Gramsci e il movimento operaio piange il lutto mentre il terrore staliniano inizia a sterminare la libertà tanto ricercata. È l’ambiguità dello stalinismo: da un lato l’appoggio alle coalizioni di fronte popolare, dall’altro la repressione all’interno della sinistra rivoluzionaria. La repressione stalinista e le crisi all’interno dei partiti antifascisti minano la difesa antifascista e così Franco riesce a distruggere la difesa repubblicana spagnola. 

Nel 1939 la Germania e l’unione Sovietica firmano un patto che non permette l’uso di violenze fra le due potenze. Uno shock forte per i comunisti che porta alla luce gli interessi politici ed economici di Stalin che delegittimano tutta la battaglia antifascista in cui si erano impegnati i comunisti. Per i comunisti italiani è un momento di crisi.

Ma nel 1941 la Germania invade l’Unione Sovietica e Stalin si vede costretto a rilanciare l’unione antifascista, dai microfoni di Radio Mosca Togliatti si rivolge a tutti gli italiani per combattere contro Mussolini, nello stesso periodo il partito riesce a riformare un nucleo clandestino. 

Il 25 luglio e l’8 settembre 1943 definiscono il crollo del regime fascista e l’armistizio con gli alleati. Nasce il Comitato di Liberazione Nazionale e si formano le prime bande partigiane, fra cui le brigate Garibaldi di ispirazione comunista.

Il programma contro il fascismo

Il 27 marzo 1944 sbarca a Napoli Palmiro Togliatti con l’obiettivo di lottare contro il fascismo e impegnarsi nella costruzione di un’Assemblea Costituente con un suffragio libero diretto e sovrano. Il 22 aprile 1944 nasce il primo governo Badoglio di unità nazionale, i partiti del CLN giurano fedeltà al Re, tra i ministri c’è Palmiro Togliatti. Con la svolta di Salerno si segna un punto fondamentale della storia del PC, legittimandolo come partito di ricostruzione italiana.

Il PCI è l’unico partito comunista che riesce a partecipare alla costruzione di una nazione democratica e alla fondazione di una repubblica percepita secondo i canoni di una costituzione europea. Dobbiamo però ricordarci che nella lotta contro il fascismo, il PCI segue Stalin e accetta e consente, volente o nolente, alle peggiori esperienze verificate poi nel dopoguerra. Siamo nel cuore dello stalinismo, nel cuore di una dittatura nella quale Stalin sopprime sia i suoi veri oppositori sia quello immaginari. Ma siccome il tiranno è anche nei fatti il capo dell’Internazionale Comunista la repressione avviene anche fuori, fortunatamente per il PCI avviene solo con l’espulsione mentre per i sovietici anche con uccisioni.

È proprio da queste espulsioni e da questo modus operandi che alcuni dei comunisti italiani riuscirono a sentire la presenza del tiranno, distaccandosi e comprendendo che la dirigenza del PCI fosse consapevole di ciò che stavano facendo l’Internazionale e Stalin. Il rapporto con lo stalinismo è un elemento chiave nella storia del PCI: fu la realtà che ne influenzò i destini e contribuì a cambiarlo.

IL PCI NEL DOPOGUERRA

La corsa al partito di massa

Come è possibile che da partito di minoranza il PCI arrivi a essere partito di massa? Un primo elemento di comprensione può essere dato dal modo in cui i comunisti hanno partecipato alla resistenza. C’era una grande capacità organizzativa e un’esperienza militare, grazie all’Internazionale Comunista composta anche da militanti capaci di formare un esercito. 

L’altro elemento è dato dalla fine del fascismo e dalla Repubblica di Salò. C’era un nuova generazione di ventenni che o aderivano al regime fascista o si ribellavano, molti scelsero di diventare partigiani, incontrando così i comunisti.

C’era poi l’attrazione verso la comunità degli intellettuali italiani di matrice comunista. Il fatto che il PCI poi avesse come parte della sua identità una grande capacità organizzativa, contribuì alla formazione del partito.

Il PCI rispose in termini politici come attore della politica italiana a molte esigenze delle classi subalterne, c’era una propaganda legata al sostegno delle classi inferiori. A questo si ricollega uno dei grandi punti del PCI, non cercò mai di essere un partito operaio ma piuttosto un partito popolare.

Se si fa riferimento agli intellettuali, bisogna citare i fatti del 1956, ovvero il “manifesto dei 101” sulla rivolta ungherese. Molti avevano vissuto l’esperienza comunista come un mezzo antifascista, nella speranza che questo fosse diverso dal comunismo staliniano. Calvino per esempio, dopo la denuncia dei crimini di Stalin nel 1956, si aspettava l’ammissione degli sbagli da parte di Togliatti e la scissione da un mondo che non poteva più rappresentare il comunismo italiano, ma rimasero delusi in quanto lo stesso Togliatti affermò di dovere stringere i denti per mantenere quel rapporto di ferro con la Russia.

Nonostante l’uscita di molti intellettuali, il PCI riuscì ad ampliare i suoi consensi. Probabilmente fu per la sua propaganda e e per la sua organizzazione, ma non bisogna dimenticare che nel cuore del PCI permase un rapporto emotivo con l’Unione Sovietica. 

Da Togliatti a Longo

Nel 1948 dopo un attentato a Togliatti da parte di un estremista, si diede inizio a un impressionante sciopero generale. Gli episodi più gravi accaddero nelle nostre vicinanze, sul Monte Amiata e ad Abbadia San Salvatore, dove militanti comunisti presero la centrale telefonica, assaltarono la sede della DC e e respinsero il primo attacco della polizia.

La mattina del 16 luglio i dirigenti comunisti decisero di arrestare l’evoluzione rivoluzionaria e lo sciopero. Proprio due giorni prima il senato aveva respinto una mozione di sfiducia presentata da Umberto Terracini al governo De Gasperi con l’accusa di essere moralmente responsabile dell’attentato a Togliatti. Gli anni successivi furono caratterizzati da una forte opposizione alle politiche del governo De Gasperi.

Nel 1964 morì Togliatti e si nominò nuova guida politica: Luigi Longo, che a differenza di ciò che era successo nel passato, nel 1968 si schierò contrario all’invasione sovietica della Cecoslovacchia. 

L’epoca di Berlinguer

Nel 1972 diventa segretario Enrico Berlinguer che propone il famoso “compromesso storico” tra comunisti e cattolici democratici. Fu il periodo in cui Augusto del Noce affermò “Il Comunismo italiano si è rovesciato nel suo contrario: voleva affossare la borghesia e ne è divenuto una delle componenti più salde ed essenziali”.

I rapporti con l’Unione Sovietica si allentarono ulteriormente e Berlinguer iniziò ad affermare di perseguire un comunismo ben lontano da quello sovietico. Nonostante questa affermazioni in pochi credettero all’allontanamento del comunismo italiano dal regime sovietico, uno tra questi fu il socialista Bettino Craxi che rimproverava ai comunisti italiani di mantenere legami con il regime sovietico e di non sposare fino i sfondo i valori della socialdemocrazia europea.

Il 1978 fu per il PCI l’anno del destino e iniziò con un incontro tra Berlinguer e Bettino Craxi. Dopo una paziente opera di ricerca di possibili strategie di accesso pur parziale al governo, Berlinguer pareva aver individuato in Aldo Moro (Democrazia Cristiana) l’interlocutore più adatto alla costruzione di un progetto concreto.

Moro individuava nell’alleanza col PCI lo strumento che avrebbe consentito di superare il momento di grave crisi istituzionale e di credibilità dell’apparato governativo. Nella DC Berlinguer vedeva invece primariamente quel possibile cavallo di Troia grazie al quale avrebbe potuto portare finalmente il suo partito al governo.

L’uccisione di Moro

Nel marzo del 1978 si vide nascere una riedizione del governo Andreotti. Ma la stessa mattina del 16 marzo, giorno previsto per la presentazione parlamentare del governo tanto faticosamente messo insieme, Moro fu rapito (e sarebbe poi stato ucciso) dalle Brigate Rosse. Berlinguer intuì la ripercussione negativa dell’evento verso la politica della solidarietà nazionale e scelse di dare al governo la fiducia nel più breve tempo possibile.

Durante il sequestro di Moro il PCI fu tra i più decisi sostenitori del cosiddetto «fronte della fermezza», del tutto contrario a qualsiasi tipo di trattativa con i terroristi, i quali avevano chiesto la liberazione di alcuni detenuti in cambio di quella di Moro. In questa occasione si acuì la contrapposizione a sinistra tra il PCI e il PSI guidato da Bettino Craxi, che invece sostenne politicamente gli sforzi di coloro che tentavano di salvare la vita di Moro.

Dopo il tragico epilogo della vicenda di Moro l’unico effetto di rilievo sulla DC parvero le dimissioni di Francesco Cossiga, che era ministro dell’interno. Il PCI restava ancora una volta fuori dal governo.

La morte di Berlinguer e il successo alle elezioni

Il PCI si ritrovò di nuovo all’opposizione e nel decennio successivo fu completamente isolato, in quanto il PSI di Craxi formulò stabilmente a livello nazionale un’alleanza di governo con la DC e con gli altri partiti laici, PSDI, PLI e PRI, denominata pentapartito.

Per uscire dall’isolamento Berlinguer provò a ricostruire delle alleanze nella base del Paese, cercando convergenze con le nuove forze sociali che chiedevano il rinnovamento della società italiana e riprendendo i rapporti con quello che era il tradizionale riferimento sociale del PCI, ossia la classe operaia. 

La morte di Berlinguer, avvenuta per un malore improvviso l’11 giugno 1984, destò un’enorme impressione in tutto il Paese anche per la casuale presenza a Padova del presidente della Repubblica Pertini, che accorse al capezzale di Berlinguer e decise di riportarne la salma a Roma con l’aereo presidenziale. 

Alle successive elezioni europee il PCI raggiunse il suo massimo risultato (33,3% dei voti), sorpassando sia pur di poco e per la prima e unica volta la DC (33,0% dei voti), per cui i commentatori parlarono di un “effetto Berlinguer”.

La svolta della Bolognina

Nel marzo 1989 il segretario Achille Occhetto lancia il “nuovo PCI” con i lavori del XVIII Congresso, il primo a tesi contrapposte nella storia del partito. Il 19 luglio 1989 viene costituito un governo ombra ispirato al modello inglese dello «shadow cabinet» per meglio esplicitare l’alternativa di governo che il PCI intendeva rappresentare.

Nel novembre dello stesso anno, tre giorni dopo la caduta del muro di Berlino, Achille Occhetto portò avanti la cosiddetta “svolta della Bolognina“. Propose, prendendo da solo la decisione, di aprire un nuovo corso politico, che preludeva al superamento del PCI e alla nascita di un nuovo partito della sinistra italiana.

Nel partito si accese una discussione, il dissenso per la prima volta fu notevole e dirigenti nazionali di primaria importanza quali Ingrao, Natta e Tortorella, oltre che Cossutta, si opposero in maniera convinta alla svolta. Per decidere sulla proposta di Occhetto fu indetto il Congresso XIX, un Congresso straordinario del partito che si tenne a Bologna nel marzo del 1990.

Tre furono le mozioni che si contrapposero, ma a vincere fu quella di Achille Occhetto “Dare vita alla fase costituente di una nuova formazione politica”, in cui proponeva la costruzione di una nuova formazione politica democratica, riformatrice e aperta a componenti laiche e cattoliche che superasse il centralismo democratico. La proposta vinse il congresso straordinario con il 67% dei voti favorevoli.

L’ultimo congresso e lo scioglimento

Il XX Congresso tenutosi a Rimini il 31 gennaio del 1991 fu l’ultimo del PCI. Le mozioni che si contrapposero a questo Congresso furono sempre tre, anche se con schieramenti leggermente diversi:

  • La mozione di Occhetto, D’Alema e molti altri dirigenti, intitolata Per il Partito Democratico della Sinistra, che ottenne il 67,46%
  • Una mozione intermedia, intitolata Per un moderno partito antagonista e riformatore e capeggiata da Bassolino;
  • La mozione contraria alla nascita del nuovo partito, intitolata Rifondazione comunista e nata dall’accorpamento delle mozioni di Ingrao e Cossutta.

Il 3 febbraio 1991 il PCI deliberò il proprio scioglimento promuovendo la costituzione del Partito Democratico della Sinistra (PDS), che nel corso dei decenni successivi è divenuto poi Democratici di Sinistra (DS) e infine l’attuale Partito Democratico (PD). Il cambiamento del nome intendeva sottolineare la differenziazione politica con il partito originario accentuando l’aspetto democratico.

Un centinaio di delegati della mozione Rifondazione comunista non aderì alla nuova formazione e diede vita al Movimento per la Rifondazione Comunista che assumerà poi il nome di Partito della Rifondazione Comunista (PRC) e che, in varie forme e sigle, è sopravvissuto fino ad oggi.

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