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Chianini nel mondo: intervista a Dario Crociani

Chianini nel mondo: intervista a Dario Crociani

C’è che si sposta dal proprio luogo di nascita per esigenza, chi per volontà, c’è chi decide di rimanere all’estero per tutta la vita e chi come Dario decide di viaggiare per poi tornare a casa. Perché se non torniamo, come faranno gli altri a rimanere?

In questo nuovo appuntamento con la rubrica “Chianini nel mondo” abbiamo avuto il piacere di fare due chiacchiere con Dario Crociani, un ragazzo nato a Chianciano che un giorno, stanco per i vari tentavi, ha aperto internet e ha trovato lavoro a Disney World in Florida. Da lì il suo viaggio è terminato solo cinque anni dopo, quando nel dicembre 2019, a pochi mesi dalla pandemia di Covid19, è tornato in Italia, dopo avere lavorato in Australia per tre anni e avere viaggiato l’Asia. Una volta ristabilito in Valdichiana si è fatto conoscere grazie ai suoi vlog, caricati nel canale YouTube “LeggenDario”, dove ha raccontato la sua esperienza lavorativa in Australia, ma soprattutto ci fa viaggiare attraverso 12 fantastici episodi in Asia.

Come hai mosso i primi passi nel mondo?

“Ho vissuto per la maggior parte della mia vita in Valdichiana e come tutti i miei coetanei a una certa età è arrivato il momento di iscriversi all’università. Scelsi Ingegneria, ma non era il mio mondo, non mi sono laureato alla fine. Da lì però è sorta una delusione dal mondo del lavoro e della vita in generale qua in Italia, così nel 2014 ho cercato di impulso su internet “come lavorare e viaggiare in America”. Ho iniziato subito tutto il processo burocratico e sono partito; volevo ricominciare da capo e per farlo avevo bisogno di stravolgere la mia vita, lasciare queste zone che iniziavano a soffocarmi. Una volta a Orlando, con un visto di rappresentanza culturale, sono andato a lavorare in un ristorante che aveva un padiglione italiano, dove facendo il cameriere ho rappresentato la nostra cultura. Nell’anno in America ho conosciuto tante persone, da cosa nasce cosa e così ho deciso di partire per l’Australia, con un visto working holiday e poi un visto studentesco. Lì sono rimasto tre anni, ho lavorato nelle farm australiane e dopo poco ho ricevuto una promozione, arrivata grazie al duro lavoro e alla frequentazione di una scuola di business. Nonostante ciò a un certo punto è arrivato il pensiero “ma voglio rimanere qui per sempre?”, e senza pensarci troppo mi sono ritrovato a compiere un viaggio di un anno in Asia prima di tornare a casa.

Ho sentito l’esigenza di concludere il mio percorso con un ultimo viaggio a solo scopo ricreativo, senza dovere lavorare come avevo fatto precedentemente, ma semplicemente godendomi le bellezze dei posti che avrei scoperto. L’Asia è stata una scoperta enorme, in dodici paesi visitati ho trovato decine di culture, migliaia di persone pronte a farti scoprire che il mondo non è quello che siamo abituati a vedere qui, è tutt’altro. Per potere portare a casa con me questo viaggio ho registrato dei vlog, ho sempre amato farlo anche grazie a mio padre, ma quest’esperienza ha meritato un’attenzione maggiore, così li ho pubblicati sul mio canale YouTube, condividendo la mia esperienza nella speranza di potere continuare a farlo anche in futuro.”

Dopo avere viaggiato ma soprattutto avere vissuto con gli abitanti dei paesi che hai visitato, quali sono le differenze che ti hanno colpito di più?

“Fra Australia e America ci sono delle differenze, ma fanno pur sempre parte del mondo globalizzato .Le grandi differenze le ho trovate confrontandomi con le mie esperienze in Italia, nonostante facciamo parte del mondo occidentale posso dirti che le differenze che ho riscontrato sono enormi, soprattutto in ambito lavorativo. Una volta che esci fuori dall’Italia ti rendi conto di quanto siamo arretrati, e non si tratta di vivere in un piccolo paese come i nostri o in grandi città, ma di tutta la struttura e mentalità lavorativa, economica e sociale del paese. È per questo che comprendo le persone che, dopo avere lavorato all’estero, decidono di non tornare più.

L’Italia tutela le persone anziane, ma non è pensabile passare tutta una vita all’estero e poi tornare, come non è pensabile che a un Paese come il nostro vada bene la famosa “fuga dei cervelli”. È vero in America, meno in Australia, non c’è quasi nessuna tutela, ma, con certi limiti, spesso se sei bravo hai la possibilità di andare avanti, qualsiasi età tu abbia.

Altri grande differenze le ho trovate con i popoli asiatici, lì il tempo scorre differentemente, ma se ci pensiamo sono la parte di mondo che rappresenta il futuro. Nonostante le nostre possibilità noi italiani stiamo continuamente a porci dei limiti, anche nel creare una famiglia, ma non ci rendiamo conto che così facendo sprofondiamo ancora di più nella caratterizzazione di popolo anziano che tutti ci danno e che noi teniamo stretta. In Asia c’è uno sguardo alla gioventù che spesso nel mondo occidentale si perde.”

Quali sono invece i problemi e le mancanze che hai riscontrato tornando qui?

“A livello lavorativo pochi mentre a livello psicologico abbastanza. Rientrare a casa tua e non avere neanche il tempo di abituarti, per poi ritrovarti chiuso in casa per mesi è un duro colpo, ma se devo essere sincero e guardare i lati positivi questo tempo mi ha permesso di prendere nuovamente confidenza con questi posti e con il lavoro. Non ero molto preoccupato, perché se c’è una cosa sicuramente positiva del tornare è che, un giovane che ha viaggiato, ha conosciuto altre culture e più di una lingua, soprattutto nelle nostre zone non fa fatica a trovare lavoro.

In fin dei conti ciò che manca all’Italia è quel gradino di evoluzione nella carriera studentesca, non si può pensare che per forza si debba frequentare l’università per trovare lavoro, come non si può pensare che chi vuole studiare debba pagare così tanto e allo stesso tempo debba fare i salti mortali per entrare nel mondo del lavoro. Dovremmo dare vita a facoltà e a scuole che siano più pratiche e che permettano l’interazione fra i ragazzi e le possibilità lavorative future. All’estero hanno più attenzione alle materie veramente importanti, informatica e lingue, che invece spesso nei curricula universitari diventano pochi crediti da fare obbligatoriamente senza un vero scopo.

In Australia dove ho lavorato per più di tre anni, soprattutto nella ristorazione, ho scoperto che le soddisfazione a livello lavorativo possono arrivare anche solo svolgendo il proprio incarico, non c’è bisogno di farsi in quattro, se lavori bene e te lo meriti le promozioni arrivano. Qui impari a costruirti limiti, a immaginarli dove non ci sono; viaggiando ho imparato il contrario, se hai le possibilità di viaggiare, non solo economiche, impari a capire che non ci sono limiti, puoi veramente imparare a essere libero.

Siamo uno dei paesi con il passaporto più forte del mondo, volendo abbiamo la possibilità di partire e di non tornare più, la paura che ci trattiene qui è infondata.”

Quindi che cosa ti ha fatto tornare in Valdichiana?

“A un certo punto devi confrontarti con te stesso, con i legami che hai verso i luoghi in cui sei nato, la tua cultura, ma anche con la responsabilità. C’è chi è rimasto talmente tanto deluso dalle esperienze lavorative italiane che non ha avuto un minimo di esitazione ad andare via e non tornare mai più, io non me la sono mai sentita, questa è casa mia e oltre alla fuga dei cervelli ci sarebbe bisogno che alcuni di questi tornassero. Se continuiamo ad andare via faremo parte di un circolo vizioso che costringerà ad andare via le prossime generazioni e così via, dobbiamo rimanere anche per costruire e dare possibilità a chi un giorno dovrà affrontare la nostra stessa scelta, quella di andare via o di rimanere, di potere dire “rimango”.”

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