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La parola della settimana: Parola

La parola della settimana: Parola

Parola

Non vi siete ancora stupiti che io non abbia accennato alla parola amorein questa rubrica? No, perché è forse quella più attesa, citata, usata e abusata.

Questo per dire che le parole – tutte le parole – non sono altro che contenitori del senso che scegliamo di dar loro. Ecco perché esistonolingue diverse che riusciamo a imparare, se ne facciamo nostre le convenzioni strutturali della trasmissione verbale (o gestuale). Non è altro che un’enorme cospirazione, se mi passate l’iperbole.

Le parole sono un’etichetta convenzionale che mettiamo su cose, sentimenti, situazioni, perché l’altro possa meglio comprenderci (e – cosa da non sottovalutare – perché noi possiamo illuderci di comprendere meglio noi stessi) attraverso un appiattimento dell’esperienza umana.

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Amore. Che significa amore? Qualcuno una volta mi ha detto che “amore” è un alibi che usiamo per giustificare gli istinti che ci trascinano prepotenti verso qualcuno, che “amore” non esiste nella forma che, come collettività, abbiamo scelto di dargli. Secondo il Byron Burns di Ronald Everett Capps: “Amore è una parola disgustosa. Non ha alcun significato. Ascolta: il mio cane è un amore. Per amor di Dio. Ho fatto l’amore ieri sera. Vedi, ho usato la stessa parola in tre modi diversi. Ora dimmi, che significa la parola amore?”

Pazzesco, vero?

Ci illudiamo che le etichette ci facilitino le cose, eppure c’è chi dice che i bambini abbiano molte meno difficoltà degli adulti nel comunicare tra di loro e, per esperienza personale, posso dirvi che più affiniamo la nostra proprietà di linguaggio, più troviamo difficile arrivare all’espressione esatta del sentimento che proviamo – o del concetto che vogliamo far comprendere.

Abbiamo tentato, come genere umano, di ovviare al problema con la poesia, con la musica; abbiamo provato metafore e similitudini; abbiamo sfruttato rumori e colori, eppure nessuno di noi – quando parla – si sente pienamente compreso.

Pensateci: vi capita mai di trovare quelle persone con cui siete a vostro agio fin dall’inizio, che sentite di conoscere da sempre? Quelle persone che sanno cosa state per dire prima che voi lo diciate? Che anticipano le vostre parole, lasciandovi in silenzio con un “Ho capito, ho capito!” appena biascicato? Ecco.

Questa è la prova lampante che la vera condivisione, la vera comprensione, vanno oltre le etichette. Anzi, non c’entrano nulla. Noi possiamo lottare per spiegarci con mille parole e poi, chissà perché, troviamo pace. Veniamo conosciuti al buio, sentiti per quello che siamo e non per quello che l’etichetta ci impone di essere.

E veniamo capiti nel silenzio.

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