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L’originale “Mercante di Venezia” di Albertazzi/Marinelli

L’originale “Mercante di Venezia” di Albertazzi/Marinelli

L’opera shakespeariana è approdata al Teatro Mascagni di Chiusi l’11 gennaio. Tommaso Ghezzi, presente allo spettacolo, fa la sua personale recensione per La Valdichiana.

L’imbarazzo sarebbe stato ipotizzabile nell’ottica in cui la forzatura labilmente antisemita del testo del “Mercante di Venezia”, a tre giorni dall’attentato alla redazione del Charlie Hebdo a Parigi con la conseguente scossa mediatica che ha investito il nostro paese, risultasse fin troppo ‘celebrativa’ verso l’intolleranza religiosa e la generalizzazione giusdicente nei confronti di un’etnia. C’era il rischio quindi che il ruolo di Shylock stimolasse un legame frusciante con una sintomatica del contemporaneo, per quanto involontariamente. Non è stato così. Anzi. “Persino il diavolo può citare la bibbia per i suoi fini”, dice infatti ‘Antonio’ nel primo atto, come ad echeggiare, al di là della quarta parete, una condanna verace al fondamentalismo profittatore di semplici parole da testo sacro.

“Il Mercante di Venezia” è giunto al Teatro Mascagni di Chiusi con un’accoglienza preventiva strabiliante. Un sold-out entusiasmante composto dal target più disparato: dagli adolescenti agli anziani, dagli “addetti ai lavori” nelle file mediane della platea, alle intere famiglie che riempivano da sole i palchetti laterali. Un pubblico da “intrattenimento”, di certo lontano da quello auspicabile per un rifacimento shakespeariano.

La scenografia mitigata da un fondale telato bianco, efficacissimo però negli effetti di controluce, composta da un ponte praticabile, che diviene ora Rialto, ora la casa di Shylock, ora il tribunale del Doge – con la semplice aggiunta di tecnostrutture fondali – è l’ambiente fisso in cui si susseguono le scene. La compagnia ben amalgamata si presenta, nella meccanica recitativa del palco, come trono reverenziale alle battute del Maestro Albertazzi, che sovrasta – dal punto di vista di energia interna al gruppo e direzione ritmica dello spettacolo – quella del regista, il cui apporto risulta alla fine un semplice firmatario asettico, considerando che lo stesso Albertazzi è l’autore della ‘manipolazione’ apportata al testo originale.

La manipolazione non è eccessiva ed è volta alla fruizione più massimale possibile. Le battute vengono arricchite da piccoli accenti, battute, barre testuali d’effetto per fare piglio sulla platea. Il testo è ‘ridotto’ ma forse certe postille recitative rappresentano più un ‘ampliamento’ alla neutralità formale del testo shakespeariano. Anche il finale è lasciato “sospeso”, per certi versi, ma anche lapidario nel porre quest’opera nello spazio esattamente mediano tra la commedia e la tragedia.

L’opera è infatti una ‘commedia’ secondo il canone teatrale, ma si compone di spirito tragico in ogni cosa, a partire dalla struttura: l’eroe tragico rompe un ordine – l’ordine rotto definisce i moti narrativi della scena – l’ordine viene ristabilito. Così il vento ciclico della tragedia che porta dapprima dinamica narrativa, sviscera la reattività delle vicende e le relazioni tra i personaggi, ripone infine ogni singolo elemento al suo posto, sotto l’egida del “dio-teatro” (per Sofocle era Zeus, ma d’altronde quasi nullo è lo scarto nelle intenzioni) che di tale ciclo è garante. Il Bassanio può quindi vivere la sua intensa storia d’amore con Porzia (interpretata molto bene da Stefania Masala) per poi ritornare alla sua condizione iniziale, lo stesso per Lorenzo, per Antonio e per lo stesso Shylock, il quale vede tornare a sé il servo “Jobbino”, interpretato straordinariamente da Cristina Chinaglia che accentua, insieme all’esilarante Doge (le cui vesti sono invece portate dall’altro ‘senior’ della compagnia, Paolo Trevisi) la sezione comica dello spettacolo con una deliziosa maschera veneziana da commedia dell’arte, squisitamente goldoniana.

Shakespeare è ormai passato per i più disparati mezzi di diffusione mediatica, la maggior parte dei quali ha contribuito ad una sua ‘banalizzazione’. Lo spettacolo di Marinelli/Albertazzi tiene conto di questa diffusione ma non sembra denigrarla. Fornisce un ottimo punto di partenza però per i ragazzi e per i “digiuni di teatro classico”, che attraverso una disposizione più fruibile e un’interpretazione magistrale, possono intraprendere un percorso di approfondimento e di educazione all’osservazione teatrale.

Foto Il Corriere Spettacolo.it

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