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La Poesia in forma di (P)rosa di “Idroscalo Pasolini”

La Poesia in forma di (P)rosa di “Idroscalo Pasolini”

Un titolo imperfetto per l’opera andata in scena da venerdì 17 a domenica 19 luglio 2015 al Poliziano, sarebbe stato “Perle ai Porci”, ovvero, un buon titolo pasoliniano, greve, inquisitorio e giudizioso, che incarna l’austerità dell’anticonformismo reazionario di Pier Paolo Pasolini che s’incunea negli interstizi discorsivi del ventunesimo secolo, senza nostalgie o cinismi, con il solo superamento del nichilismo e della dimissione, attraverso la coscienza endemica di quel “non c’è più niente da fare” che PPP indiceva come termine ultimo delle possibili filosofie sociali, poco prima di morire sulla spiaggia di Ostia, il 2 novembre 1975.

Nello stesso periodo Hans Werner Henze fondava a Montepulciano il Cantiere Internazionale d’Arte. Per entrambe le “istituzioni storiche” (il Cantiere e la Morte di Pasolini) il 2015 è il quarantennale.
L’opera si intitola “Idroscalo Pasolini” – titolo sicuramente migliore di quello pensato dal sottoscritto – ed è un pastiche di poetiche e codici linguistici che fanno capo al più importante intellettuale italiano del ventesimo secolo. È andata in scena al teatro Poliziano in tre repliche (17, 18 e 19 luglio) durante il primo weekend del XL Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano. Musica di Stefano Taglietti e libretto di Carlo Pasquini, che ha curato anche la regia. L’ensemble, composta da 12 elementi, è diretta da Marco Angius, uno ‘specialista’ del contemporaneo, che ha avuto l’onere di portare fattivamente in forma sonora la partitura di Taglietti, donando la giusta dinamica e la precisa compenetrazione tra recitativi e canto che l’opera prevedeva sulla carta. I due linguaggi, teatro di prosa e musica contemporanea, infatti appaiono complementari, alternati anche nella scelta degli interpreti; cinque attori (Francesco Mauri, Leonardo Bianconi, Roberto Giovenco, Michele Zaccaria, Nicola Ciammarughi) e quattro cantanti (il soprano Rosaria Fabiana Angotti, il mezzosoprano Giada Frasconi, il baritono Andrea Tabili, e la voce bianca del piccolo Andrea Ciacci) che si sono perfettamente intersecati nel piano esecutivo della rappresentazione.

Un cielo bigio fa da fondale ad una scenografia post-atomica; una porta da calcetto inclinata, scrostata e senza rete, ciuffi d’erba in mezzo alle dune di sabbia, temperate da piccoli altipiani, e in secondo piano un rialzo roccioso; siamo ad Ostia, sulla spiaggia dove il corpo di Pasolini, tumeafatto, venne rinvenuto nel novembre di quarant’anni fa.

I personaggi che snodano la vicenda dell’opera sono i Suoi personaggi; una Maria Callas innamorata del regista che le ha ridonato i trionfi del protagonismo ne la “Medea”, il Corvo di Uccellacci e Uccellini, La coppia di Cardinale e Chierichetto, “usignoli della chiesa cattolica”, il gesuitico tradimento della verità, dogma simmetrico al Corvo Marxista, i poliziotti – figura mediana tra oppressi ed oppressori, come emerge notoriamente nei primi versi de “Il PCI ai giovani” – e poi Accattone, l’Otello/Ninetto Davoli, Stracci che – come ne la Ricotta in “Ro.Go.Pa.G.”- si fa Cristo Crocifisso, sovrapponendo così anche la diegesi de “Il vangelo secondo Matteo” tra i livelli citazionistici della messa in scena di Carlo Pasquini.

Per tutta la durata dell’opera si indaga sull’omicidio (sempre che di omicidio si tratti) di Pasolini. Indagati sono i suoi personaggi, le sue muse, i suoi feticci, la sua Roma aguzzina, fagocitante. Indagato è il suo cinema nel quale il Poeta intrise troppo di sé, nel quale troppo sfogo dette ai suoi sentori percettivi, troppo acume rovesciò nelle riflessioni che consegnò ad un mondo non ancora preparato ad accettare una tale lucidità.

La tecnica è un patchwork di citazioni e registri diversi; la tragicità dei soprano e mezzosoprano (ottime le Rosaria Fabiana Angotti/Maria Callas, e Giada Frasconi/Corvo) e la commedia dei recitativi, per i quali la musica agisce una dicotomia parallela perfetta da parte della modulazione sonora diretta da Angius, notevole anche nella gestione “strumentale” dei suoni ambientali (vento e fruscii, ottenuti con lastre, piatti e corde dei legni).

Come al solito Carlo Pasquini immette nella mise en scène i suoi crismi, le sue marche ormai riconoscibili; quei gesti audaci, a stemperare i linguaggi, quelle mosse insensate di per loro che donano senso a tutto il resto, quelle chiare “note di regia” che sono “musicali” anche durante le pause di partitura, che accendono reminescenze, abbagli di consapevolezza dopo tunnel di incoscienza. Nulla di incomprensibile, però. Pasolini, la sua opera, la sua vita, sono la chiave di lettura che permea tutta la godibile ora e mezza che l’opera, in atto unico, copre.

Alta qualità, comunque, ormai assicurata dall’istituzione del Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, che da quarant’anni non si cura del dare o meno “perle ai porci”, si interessa altresì di “seminare” educazione e ricerca in tutti i tipi di pubblico.

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