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Intervista a Olga, moglie di Massimo D’Antona, in occasione del Festival Luci sul Lavoro

Intervista a Olga, moglie di Massimo D’Antona, in occasione del Festival Luci sul Lavoro

«Il lavoro senza aggettivi», lavoro come tale: Massimo D’Antona, prima di essere ucciso dalle Brigate Rosse, la pensava così. Dalle parole della moglie il suo pensiero

All’interno del Festival “Luci sul Lavoro”, tenutosi a Montepulciano nei giorni 10-11-12 luglio 2014, è stato consegnato il premio di laurea “Massimo D’Antona”, dedicato ogni anno alla miglior tesi sul diritto sul lavoro. Il premio, consistente in un riconoscimento formale e un contributo di 1.500 euro, nel 2014 ha visto il decimo anno di vita.

La Commissione esaminatrice per questa edizione, costituita da Antonio Ojeda Avilés, Gianni Arrigo, Giuseppe Casale, Antonio Di Stasi, Enrico Limardo e Carmine Russo, ha dichiarato vincitrice la Dott.ssa Diletta Carretta, autrice della tesi dal titolo “Il lavoro carcerario”, discussa il 9 ottobre 2013 presso l’Università Cattolica di Milano.

Il 12 luglio è avvenuta la premiazione. Come da tradizione, la moglie di Massimo D’Antona, Olga, ha consegnato la pergamena alla Dott.ssa Carretta, simbolo del riconoscimento di un ottimo lavoro svolto all’interno di un carcere.

Qui di seguito la trascrizione di alcune domande che la Redazione ha posto a Olga D’Antona, a seguito della premiazione.

Quale idea aveva Massimo D’Antona del mondo giovanile?

Innanzitutto, il fatto di essere professore universitario gli ha permesso di avere un rapporto quotidiano con i giovani. In base a questo, aveva la preoccupazione di un mondo giovanile che trovava scarsi sbocchi nella società italiana, e nel mondo del lavoro: il suo timore era che si venisse a creare un conflitto generazionale tra giovani e mondo degli adulti. La sua idea comunque era rappresentata da una grande dedizione; la sua preoccupazione era soprattutto, come credo sia noto, per la vita reale delle persone, del loro lavoro.

La sua concezione della parola lavoro?

La frase che forse più viene ricordata di Massimo riguarda la necessità di «un lavoro senza aggettivi». Il lavoro come tale, ed è un tema che ha toccato, per certi versi, anche questa giovane appena premiata; quando parlava, per esempio, della differenza di lavoro rispetto a fuori e dentro il carcere, dentro al quale viene retribuito meno. Il lavoro dovrebbe essere senza aggettivi, appunto, lavoro e basta.

Qual è l’importanza di un premio intitolato a Massimo D’Antona?

Si possono vedere vari aspetti: uno è che questo premio può essere un modo per tenere alta l’attenzione dei giovani, e quindi del mondo dello studio, rispetto al pensiero di Massimo D’antona; come diceva appunto questa ragazza, che aveva seguito un seminario proprio sulle sue idee. Quindi, tenere sveglio l’interesse sul pensiero di Massimo e poi anche, purtroppo, per quanto riguarda un secondo aspetto, tenere alta l’attenzione contro il terrorismo, perché, ricordiamolo, Massimo D’Antona non è morto per malattia, è stato ucciso dalle Brigate Rosse. Rappresenta un buon modo per tenere alta l’attenzione, il ricordo e la vigilanza contro ogni forma di violenza.

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