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Bioindegradabili – Un confronto con gli “Impatto Zero”

Bioindegradabili – Un confronto con gli “Impatto Zero”

Da dove nascono le “scene” che rivelano i loro dispositivi più efficaci nella risoluzione della noia, la coloritura del buio e dell’illuminazione dal tedio atavico della piattezza esistenziale? Dalla provincia. Sempre. Sia essa mentale o fisica. Dalle linee longitudinali della periferia, siano esse mentali o fisiche. Il nulla che sviscera dai pomeriggi adolescenziali sulle panchine delle piazzette, con spazi ricreativi da creare con gli strumenti di fortuna, senza aiuti, senza privilegi, senza contesti fertili. Non è una novità. Abbiamo avuto uno dei momenti più fertili del nostro sottobosco musicale negli anni ’80, in toscana, quando il punk e la new wave rappresentavano un canale espressivo perfettamente aderente alle sensazioni di estromissione dalla storia, dal flusso dominante.

8Il fenomeno del riscatto all’assuefazione della noia
lo vediamo in tantissimi espedienti culturali come il futurismo, nella cui orbita Filippo Tommaso Marinetti scolpiva le violente affermazioni di riscatto, dall’accidia italiana: «Avevamo lungamente calpestata su opulenti tappeti orientali la nostra atavica accidia, discutendo davanti ai confini estremi della logica ed annerendo molta carta di frenetiche scritture. Un immenso orgoglio gonfiava i nostri petti, poiché ci sentivamo soli in quell’ora, ad esser desti e ritti, come fari superbi o come sentinelle avanzate, di fronte all’esercito delle stelle nemiche, occhieggianti dai loro celesti accampamenti». Oppure James Joyce, che ambientò a Dublino le sue narrazioni moderniste, eleggendola a “centro della paralisi” nel turbinio della modernità, la città periferica per eccellenza, estromessa dal fulgore della storia. Ma nella storia più recente e in ambito musicale, non possiamo non considerare la Seattle o la Washington degli anni ’80, nel riflusso trionfale dell’intrattenimento statunitense che collocava a New York e Los Angeles i suoi centri culturali, elargivano al mondo i virgulti più potenti della storia del rock di fine millennio: se sulla sponda ovest, bagnati dal pacifico, tra l’emarginazione e l’eroina, si plasmavano Nirvana, Screaming Trees e Alice in Chains, dalla parte atlantica l’accento espressivo della noia mortificante forgiava Minor Threat, Fugazi, Bad Brains e Teen Idles.

3È proprio a questa scena statunitense che quattro ragazzi di Trequanda (Trequanda, neanche Cincinnati, neanche Jackson, Trequanda) hanno appreso gli strumenti estetici e musicali per reagire al presente: una saletta di qualche metro quadro, chitarra, basso, batteria, ampli valvolari per dare più ruvidità al messaggio da comunicare. Di fatto, quello che ha funzionato di più è stata la loro voglia di svuotare gli ascessi di tensione piatta, nella provincia toscana, in mezzo alla stessa campagna che ha fatto partorire “Countryside” alla crew hip hop Toscana Sud (con altri linguaggi, ma con la stessa forza). Hanno scelto un nome che pur riferendosi ad una produzione ecosostenibile, porta con sé la potenza dello scontro: “Impatto Zero”. Come a sottolineare una compensazione del vuoto nel verde della nostra toscana, senza alterarne lo stato biologico, ma solo quello mentale.

Martin Cantero, Domenico Perugini, Thomas Tarquini e Iacopo Panfi, dalla tenera età hanno fatto di tutto per portare su ogni palco la loro musica. Dalle sagre alle goliardie di paese, dalle festicciole ai ristoranti, dai bar ai club, piano piano fino ai festival più in vista del territorio. Una scalata che dura da cinque anni e che li ha visti crescere sopra le tavole degli stage, molte volte suonando nelle strettoie tra i piatti della batteria e gli amplificatori, dividendo i monitor-spia in due o più persone.

Raggiunto un primo grado di maturità, gli Impatto Zero hanno deciso di incidere un EP. Martin, la voce della band, lo descrive così:

“Sono tutti gli sballi accumulati negli ultimi anni, che abbiamo aggiustato per l’occasione. Ci sono pezzi che sono stati stravolti, altri che si sono evoluti. Ci sono voluti anni. Ogni volta in cui abbiamo definito un pezzo e lo abbiamo considerato concluso, abbiamo incontrato qualcuno che costruttivamente ci ha fatto capire quanto fossero ingenue certe scelte che consideravamo definitive. Ci siamo sentiti dire molte volte “questo brano non è abbastanza maturo”. Questa cosa è stata la nostra fortuna: aver avuto sempre qualcuno che in modo molto onesto e per aiutarci a crescere, è stato diretto e costruttivo. Certo non è facile prendere gli schiaffi in faccia, specie da ragazzino, ma metabolizzare le critiche ti rendi conto di quanto sia necessario migliorare. I pezzi che sentirete nell’EP sono il risultato di questo processo.”

2Per incidere l’EP, si sono fatti notare dal fulcro dell’attuale scena indipendente italiana, Andrea Marmorini, della Woodworm, una label che vanta il premio come miglior etichetta indipendente italiana al PIMI del 2014, e Jacopo Gigliotti, bassista dei Fast Animals & Slow Kids. La Anubi Produzioni, che in un podere sul lago di Montepulciano, il Macchione, ha allestito uno studio di registrazione. Avere a che fare con due personalità così rilevanti dell’attuale panorama rock italiano, non è un semplice vanto passivo per gli Impatto Zero. Hanno con sobria umiltà, saputo sfruttare le possibilità di miglioramento, di edificazione e di formazione dall’esperienza con una produzione così importante.

“Con i ragazzi di Anubi non è stata una semplice “produzione”, ma una vera e propria collaborazione. È nata perché noi volevamo registrare un disco ed eravamo affezionatissimi alla band dei FASK e ad Andrea che aveva prodotto i loro ultimi due dischi. Mandammo una mail senza troppe pretese. Noi piccole band vediamo anche le band della scena indie come un riferimento lontanissimo. Li vedevamo distantissimi anche solo per poter essere contattati. Ci siamo resi conto che dall’altra parte non c’erano dei divi, ma persone squisite e disponibili. Hanno accettato di aiutarci a fare questo EP. E lavorare con loro è stato “una pasqua”, un’esperienza bellissima. Ci hanno dato la serenità di lavorare bene, per registrare il disco, si è creato un clima in quella settimana che ci ha fatto sentire in vacanza. In più loro ci hanno fornito la loro esperienza su un vassoio, si è creata un’atmosfera che ha cambiato proprio il modo di intendere la registrazione.”

Adesso al primo step di maturità ne devono seguire molti altri; loro sono i primi ad esserne consapevoli:

impatto zero ep 3“Noi abbiamo già pronti altri pezzi e quello che vorremmo è inserirci in contesti in cui sia possibile eseguire questi pezzi in concomitanza con altre band, su palchi importanti. Sia perché in questo modo la nostra scaletta sarebbe funzionale, sia perché quello che veramente ti fa crescere è condividere i palchi, contatto con altri “compari di passione”. Che gli altri siano più o meno bravi non ha importanza, è lo scambio di opinioni a farti crescere. Ad esempio abbiamo avuto il piacere di conoscere i Please Diana, che registravano al Macchione una settimana prima di noi. Ci sono venuti a trovare e la loro cantante ha partecipato al nostro EP con un po’ di cori. Tutto è crescita perché sono tutte opinioni diverse che senti e che puoi mettere nel tuo bagaglio musicale.”

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